sabato, dicembre 30, 2006

La morte per tutti e per nessuno



Charles Bukowsky (Hank) scrive (“pulp”18,II):
Mentre aspettavo ammazzai 4 mosche. Accidenti,la morte era dappertutto. Uomini,uccelli, belve, rettili, roditori, insetti, pesci, nessuno aveva la minima probabilità di sfuggirle. Li sistemava tutti. Non sapevo che cosa fare al riguardo.Mi venne la depressione. Sapete,vedo un fattorino al supermercato,sta mettendo in un cartone la mia spesa, poi lo vedo infilarsi nella propria tomba, insieme alla carta igienica, alla birra e ai petti di pollo”

Osserviamo un’analisi completa di una categoria logica e metafisica (ontica, prima e ontologica dopo) di un’antropologia “scientifica” della morte, dando a quest’aggettivo la stessa accezione che ne dava Husserl: un senso scientifico=eidetico=essenziale (va beh questo pezzo l'ho scritto per fare una sboronata,se non ci capite un cazzo pensate che "forse" non ci ho capito manco io che l'ho scritto).
Abbiamo infatti, in questa descrizione letteraria, un percorso dall’induzione alla deduzione, cioè dall’esperienza personale, al contraccolpo metafisico, all’esperienza emotiva, fino a concludere con una rappresentazione immaginativa che è la chiara semantica dello stato contingentemente depressivo in cui il suo animo è temporaneamente piombato.

Il punto di partenza di questa fenomenologia è l’uccisione,da parte di Hank, di 4 mosche, mentre sta facendo coda alla cassa del supermercato.
Possiamo pensare che il fastidio che gli generavano sia stata la causa della decisione di quel gesto. Hank descrive una Los Angeles torrida, in cui un uomo solo si dispone a procacciarsi cibo, bevande e carta igienica al supermercato, quasi all’ora di chiusura, in cui si fa la fila, alla cassa, in piedi, asciugandosi il sudore, con le mosche che si pongono insistemente sulla pelle irritata dal sudore e dal caldo.

Se ci lasciamo portare dall’immaginazione facilmente riusciamo a trasportarci nei panni di Hank e capire le motivazioni che lo hanno portato a uccidere le mosche. Ci mettiamo dentro anche una certa soddisfazione che può aver inizialmente comportato in Hank, il compimento di quel gesto. Calcolando anche che le code alle casse piene sono particolarmente noiose e predispongono a considerazioni filosofiche su quanto tempo sbattiamo nel cesso quotidianamente in questo modo.

Hank però è uno che attraversa queste situazioni carico di alcool e di mente immaginativa. Certo non poteva fermarsi alla banale considerazione che “la morte è dappertutto”, passa in rassegna pressoché tutte le categorie dei viventi, escluse le piante, e le rinchiude, logicamente all’interno di un’idea di ineluttabile destino. Che immediatamente richiama l’umana impotenza “Non sapevo che cosa fare al riguardo” E’ chiaro che qui Hank non intende “fare” come una cosa per tutti, non intende “ “cosa fare “ per il problema in se , ma cosa fare per “tirarmi fuori” da questo destino.

Qui avviene quello che Freud chiamerebbe “interposizione” cioè: Hank sposta su un altro individuo l’indomabile paura di pensare all’annullamento di se stessi, in prima persona.

Come dice Heidegger: l’uomo coglie la propria temporalità secondo un concetto “inautentico” di tempo, perché non si riferisce al tempo, secondo un senso oggettivo, passato,presente,futuro, ma quest’ultimo, il futuro, lo programma, come se funzionalmente, non esistesse nella sua realtà (non essere di noi in prima persona) , ma esistesse come indeterminata quantità del tempo che si espande davanti a noi, come un sentiero senza fine.

Anche Hank cede alla tentazione di negare l’essenza del futuro a se stesso, però ci riesce fino ad un certo punto, perché la sua rappresentazione gli riporta, nella visione del fattorino che scende da solo nella tomba, un mithos universale. Nel fattorino ci sono tutti, anche lui, in un punto temporale indistinto tra passato, presente e futuro.C'è il destino dell'uomo pensante-vivente e di tutti gli altri,che ha vissuto o vivranno,universalmente parlando. C'è la domanda senza risposta, all'ignoranza della quale l'uomo riponde attraverso l'utleriore negazione della vita, che è la religione.


Il fattorino che, scende nella tomba, portandosi il sacchetto della spesa, fa riaffiorare, nella dimensione immaginativa, la porta carraia dello Zarathustra di Nietszche. La strada del presente e quella del futuro convergono in un punto temporale ineffabile, rivelativo, eterno: l’Attimo.
Solo che Nietzsche fa risorgere tutte le cose proprio nel punto in cui sembrano negate nel modo piu’ definitivo (attraverso il pensiero dell’Eterno Ritorno, la vera illuminazione di questo maestro indiscutibile del pensiero),mentre mediamente gli umani si soffermano al lato depressivo della negazione, alla morte come assoluta perdita di ogni senso. Questo “pensiero abissale” appare insopportabile, da qui la ragione principale per cui, secondo Nietzsche, si opera, come già detto, l’ulteriore negazione della vita attraverso il ricorso alla religione.

Questa medietà del pensiero della morte, è antropologica. Riguarda tutti, anche se la nostra cultura la interpreta nei suoi modi particolari.
Presso di noi, il tema della morte è un tema tabu’. Si fatica pure a nominarla. Salvo poi lasciarsi andare a torbidi pettegolezzi quando qualcuno, sul posto di lavoro, si ammala gravemente. La si paventa, in quel caso, senza nominarla. E non fa differenza se si è cristiani o no, al massimo, il cristiano terminerà il discorso con la solità “speriamo in Dio” e buonanotte.

I bambini sono molto curiosi del tema della morte, ne chiedono fin dai 5 anni e in certi casi pure prima. I genitori credenti hanno buon gioco a raccontare dell’immortalità dell’anima, perché la mente dei bambini, se non hanno avuto particolari traumi, passata la fase di “permanenza dell’oggetto” non concepisce l’idea del nulla. L’anima che vola “lassu’” è un’idea plausibile.
Io, che non ho voluto influenzare in tal modo mia figlia , ho dato delle spiegazioni solo riguardo a quello che mi è dato sapere dalla mia esperienza, e cioè che di sicuro l’anima non sta dentro il cadavere, che non so dove vada e che non so neppure dove viene.
Mia figlia dunque ci ha lavorato con l’immaginazione e ha maturato la convinzione che “si muore ma poi si rinasce” e che, naturalmente, Dio presiede a tutto questo.

I bambini sono vergini rispetto alla naturale paura della morte, che viene alimentata nella vita, dall’esperienza della mancanza, prima della quale, non si considera la morte come origine di particolari sventure.
Cio’ dimostra che i bambini hanno paure piu’ potenti della morte (l’abbandono, per esempio)di fronte alla quale si comportano in modo molto piu’ naturale di noi, dandola per quella che è: una possibilità che è propria di tutti, senza eccezioni.

Nella nostra società questa visione infantile della morte viene strangolata o dalla cultura dell’immortalità dell’anima, che cancella con la consolazione che non ci sia, l’idea del nostro proprio annullamento, o con un mondo magico, una “realtà parallela” in parte costruita nell’inconscio collettivo come la realtà virtuale dei film e dei giochi “cavallereschi”, in parte con questo mito dell’onnipotenza della scienza, che, arriverà a risolvere tutti i problemi, ci vogliono però tempo e biada (soldi) per permettere a questi “angeli dell’umanità”(gli “scienziati”) di sconfiggere dolore e morte.
In ogni caso, la morte è fuori da ogni criterio con cui prendiamo le nostre decisioni. Semplicemente la si nega, come la polvere spazzata sotto il tappeto. L’ideologia religiosa è fondamentale in cio’, ma lo è anche il mito della vita e della giovinezza, per noi “controllabili” attraverso prodotti di bellezza, consigni degli esperti, vita orientata ad un “saggio” e sempre rinnovato “consumismo”, che scaccia la depressione e alimenta l’illusione di poterci comprare “sempre piu’ vita”.

Il benessere del capitalismo imperialistico, alimenta la popolazione del cosiddetto occidente, con un’idea di mortalità artificiale, quasi inesistente , verso cui, per usare le parole di Bukowsky, si nutre la fiducia che ci sia qualcuno che “sa”che cosa fare al riguardo.
La scienza becera fa capo all’ idea metafisica della possibilità di programmare il tempo, a breve, medio, lungo termine, come se il futuro fosse una cosa di gomma, un oggetto allungabile.

Mentre invece il futuro è, per dirla con Heidegger, la nostra possibilità più propria: la morte, che ha primato più di ogni altra cosa. Noi non abbiamo nessuna certezza perché puo’ intervenire qualsiasi fattore a scombinare i nostri piani , ma sicuramente, con evidenza cartesiana, possiamo dire che la nostra vita biologica ha un termine, che sarà un certo giorno, di una certa ora, minuti, secondi, del calendario di questa vita. Il pensiero dell’immortalità dell’anima, in una logica terrena, e, assolutamente non materialistica, appare come il tentativo di riempire il nulla posto dalla morte, con un simulacro dell’essere. Questa prospettiva ha realtà solo come esigenza psicologica.

In fondo Hank questo pensiero vorrebbe scacciarlo, ma l’immagine del fattorino, che s’infila da solo nella tomba, portandosi dietro il cibo, la birra e da pulirsi il culo, è un’idea onesta della morte, la cui tragedia, quella vera, è il risucchiarsi nel nulla, della nostra identità.
Senza l’illuminazione di Zarathustra, questo resta semplicemente l’abisso, che gli umani dovrebbero imparare a tenere nel giusto conto, specie quando hanno, per qualsiasi motivo, voce in capitolo sulle decisioni che riguardano gli altri, perché per noi i nostri simili hanno primariamente il significato di “farci da specchio”.

ps rileggendo il tutto mi sono accorta che gli ultimi tre post che ho scritto sono leggermente monotematici. Sarà l'anno nuovo incipiente che m'ispira riflessioni sul tempo e sul cambiamento. Pigliatelo come un buon augurio ,paradossale ma buono.

mercoledì, dicembre 27, 2006

Il Natale dei Babbi impiccati

Una delle recenti decorazioni natalizie, che per conformismo si è propagata in modo abbastanza esteso per essere notato,almeno qui a Milano, è quello dei babbi natali scalatori.

Pupazzetti di 50-70 cm che vengono appesi alla ringhiera dei balconi in posizione, appunto, da “scalatori”: con una gamba su e l’altra piu’ in basso, nell’atto di star per scavalcare i balconi.

Ebbene: è nato il movimento per la liberazione dei babbi natali scalatori, attivo nella bergamasca che ha sequestrato 15 babbi natali scalatori, facendoli ritrovare in un bosco.

Le motivazioni del gesto sono nobili e ideologicamente fondate, Certo, il movimento non sa che babbo natale è figlio della coca cola.

Delle nobili motivazioni, mi sento di menzionarne e condividerne una in particolare e cioè che,se attaccati male o preda delle intemperie, i babbi sembrano degli impiccati.

E a me questo mi pare una cosa che porta un po’ sfiga, però se penso che babbo natale, appunto, è figlio della cocacola, penso che in fondo c’è l’armonia dell’universo e che in questo esasperato squilibrio, forse un’ intelligenza superiore potrebbe intervenire e prendere a calci nel culo quelli che l’impiccagione ( e la tortura, e la sedia elettrica ecc…) la praticano davvero.

Quindi, satanicamente, auspico che il conformistico ( e un po’ infausto) gesto di avere il BABBONATALE impiccato fuori dal balcone, sia, in fondo, un portafortuna per l’umanità non completamente stronza.

"A Morte Saddam Hussein"


Cos’è la morte di Saddam Hussein? Cosa rappresenta significativamente?
Niente altro che la necessità, per l’elettorato neocon occidentale, di effettuare una catarsi dei dolori della guerra e un sacrificio del “capro espiatorio” di cio’ che ne costituirebbe la causa.

Saddam morirà. La certezza viene dal fatto che l’Estabilishment massmediatico ha diffuso in giro la notizia che numerose persone si sono offerte come boia.

Quest’evento, per nessuno di noi riscontrabile in documenti, sarà equivalente ad altri casi di dittatori in cui parenti di assassinati si saranno offerti di ammazzare personalmente il capo dei carnefici.
Si sa niente di gente che abbia chiesto, che so, di ammazzare personalmente Pinochet, o Videla, che han fatto cose che farebbero impallidire il nostrano Koch?
Non si sa e il pubblico non ha modo di verificare. Però lo dicono e non dicono nulla mai per caso.

Gli stati Uniti annunceranno la partenza di altri 35000 uomini, all’inizio di gennaio,per l’Iraq.
In piu’ sostengono con apporto di armi gli etiopi che stanno occupando la somalia.
Gli Usa non avevano buoni rapporti con le corti islamiche, a loro dire, complici di alqaeda.

Tutto questo fottuto ambaradan richiede la morte di Saddam.
Per dare un senso di “risoluzione del problema” attraverso la rimozione della causa
Per suggellare con un sacrificio (che ha il valore di ingraziarsi dio), le deliberazioni provvidenzialistiche della max autorità teocraticristica d’occidente (bush)
Per soddisfare la sete di giustizia, che va oltre la realtà e la morte, che gli occidentali provano quando pensano alle vittime della barbarie di saddam hussein (perché il messaggio è passato, eccome e l’immedesimazione è un sentimento che si puo’ alterare con l’”informazione” di massa )

Insomma saddam è ormai un dead man walking. Io ho firmato la petizione contro. Ma secondo me non c’è un cazzo da fare.

sabato, dicembre 23, 2006

BUONE FESTE, BUONE COSE :-)



eheheheheheheheheheheheheheheh!

La vicenda di Welby ed un bieco discorso di soldi

Questo post me l’ha suggerito la lettura dell’ottimo Martinez di Kelebek, che fa una fenomenologia del “rumore” opposto al “silenzio” di molti politici intorno a questa storia. Egli afferma, giustamente, che Welby ha occupato molto spazio mediatico , provocando molte divisioni, a fronte di silenzi e accordi che i nostri governanti manterrebbero su temi ben piu’ gravi e decisivi, su cui si fa impercettibile il “divario” tra destra e sinistra, che paiono divergere solo sul diritto di qualcuno ( che ha fatto l’errore di rendere pubblica la sua richiesta) di decidere sull’epilogo del proprio destino. Poi si profonde in un’ampia fenomenologia culturale della “vittima”, con cui io sono in linea di massima d’accordo.

Io farò un discosrso molto più terra-terra, concordando con lui che è normale che la chiesa, avendo Welby rifiutato i suoi precetti, rifiuti a sua volta il funerale cattolico. Certo, si potrebbe fare un distinguo sulla cattolicità della sua mamma, che però per la chiesa è imputabile di non aver fatto sul figlio le necessarie pressioni affinché si rassegnasse al proprio destino.
Perfino il paragone con Pinochet non regge: se Pinochet si è confessato, mostrandosi pentito, la chiesa non ha alcun dovere dottrinale di negargli il rito funebre, nonostante sia un “peccatore”: assassino di oltre tremila persone, torturatore di altre decine di migliaia. Se si è mostrato pentito, il rito funebre gli è dovuto, cosa che per Welby non si può affermare, perché è impossibile e non previsto un pentimento post mortem.

Il mio discorso parte dall’8 per mille, che viene destinato alla chiesa cattolica, non solo nella misura in cui vi sono credenti che lasciano a quest’organizzazione il loro obolo fiscale, ma i soldi dell’8 per mille che non vengono attribuiti esplicitamente (di quelli che non firmano il 101, per intenderci) vengono distribuiti in misura proporzionale a tutti gli enti che hanno questi accordi privilegiati con lo stato e, essendo la chiesa l’ente che percepisce di più, è anche quello che si attribuisce la fetta piu’ grossa di questi soldi .

Morale della favola: la chiesa cattolica si attribuisce l’87,25 % dei fondi dell’8 per mille. Per non parlare dell’esenzione dell’ICI , sancito dalla finanziaria 2006 di berlusconi e mantenuto da questo governo (con il voto decisivo di Vladimir luxuria, e diciamolo, cazzo) .
Per non parlare delle agevolazioni alle scuole cattoliche, delle sovvenzioni alla ricerca delle università cattoliche. Insomma mi pare che questa collettività italiana mantenga con il clero un rapporto finanziario tale, che la chiesa avrebbe potuto essere un po’ meno fiscale nell’applicazione della dottrina ed accontentare, visto che siamo sotto natale, la mamma vecchierella di Welby che, da cattolica, ha di sicuro contribuito all’erogazione di siffatti capitali alla chiesa e, comunque, sulla sua incapacità di persuadere il figliolo, da cristiana, poteva sempre confessarsi.

Ma cio’ che si sa, e che si è sempre saputo, è che la chiesa cattolica ha sempre digerito male le sue sconfitte: dal Concilio di Trento , i cui tribunali (inquisizione, indice ecc..) non hanno sortito l’effetto di far tornare indietro l’Europa dal Protestantesimo, al 1978, quando le donne, stanche di morire per gli aborti clandestini, hanno votato in blocco per la legge 194.

Ecco la ragione dell’atteggiamento punitivo della chiesa. Far da monito a chi, trovandosi nelle stesse condizioni di Welby (buone feste e buone cose a tutti, sottinteso) non prenda le sue medesime decisioni. L’inflessibilità della chiesa, del resto, va di pari passo con il suo sadismo, che nella storia è ampiamente dimostrato. Così come va di pari passo col sadismo (e con l’opportunismo e con l’ipocrisia e il viscidume) di quei poltici che, per raccattare qualche voto in piu’ si muovono in modo aberrante secondo le logiche sadiche di chi trova nel sadismo lunga tradizione.

Starebbe a noi, alla nostra capacità di incidere sulla vita politica di questo sfortunato paese, cambiare tali logiche e uscire dalla cappa di malattia che implica questo procedere della vita collettiva (e individuale) in Italia.

venerdì, dicembre 22, 2006

Nessuna solidarietà con i giornalisti.



Si danno da fare, i giornalisti, attraverso i canali privilegiati che hanno, per divulgare la loro nobile causa. Per far sapere che le loro condizioni non sono neppure prese in considerazione.
Che gli editori non vogliono mollare su certe iniquità che caratterizzano i rapporti di lavoro che instaurano con questi importanti “funzionari” di democrazia, quali sono gli imbrattacarte e i teleimbonitori che quotidianamente popolano la nostra voglia di informarci sul mondo.

Ebbene io dico: per quello che è oggi l’informazione di massa che viene spacciata per “verità”: nessuna solidarietà con gli imbrattacarte.
Come dice Lameduck: I servizi televisivi servono solo per informare sul gossip. Sulle abitudini vacanziere degli italiani o sul trend degli acquisti natalizii.

Nessuna notizia sul popolo libanese in piazza da giorni per l’autodeterminazione. Nessuna notizia sulle condizione del popolo palestinese, nonostante i nostri politici si stiano colpevolmente schierando contro la loro causa.
Persino la “notizia del giorno”, l’atto né eroico né politico,ma professionale, del medico che ha spento la macchina a Welby, sedandolo perbene prima di far sì che morisse soffocato, è accompagnata dalle giuste e legittime considerazioni sull’atteggiamento dei politici italiani, che riducendo gli ospedali ad aziende, han provocato la morte di numerosissime persone (per parto, per appendicite, per infarti non prontamente diagnosticati) ma ora, nel caso di Welby , viene dato amplissimo spazio alle loro discutibili opinioni, per provocare un dibattito “morale” che poco ha a che vedere con le decisioni che incidono sul grosso della popolazione e che sembrano “sparite” nell’oblio delle coscienze, ormai tutte portate, da una stampa malpagata ma serva, a interrogarsi su Welby e sul suo medico, se debba essere o meno giudicato per quello che ha fatto.

Nessuna solidarietà con gli imbrattacarte fedeli ad ogni regime, sodali di ogni bandiera vincitrice, per i quali "informare" ha lo stesso significato che ha, per un cagnolino ben addestrato, portare, stretto tra i denti, il giornale al padrone. Nessuna solidarietà a chi lavora per “questo” sistema di informazione. Teso a letargizzare le menti e costruire miti di carta per gonzi inabili al pensiero. Nessuna scusante per questa gentaglia, che, in una società come la nostra, avrebbe una responsabilità enorme ed un compito immenso ed invece si vende (a poco) al miglior offerente: ha mezzi per parlare quando gli toccano il portafoglio e si lamenta, quando gli editori pretendono di pagarli quello che valgono (cioè un nulla per cui uno stipendio da operaio sarebbe già troppo, ma davvero troppo) . Poiché la loro dignità se la sono già venduta e vale molto meno di quello che hanno già.

martedì, dicembre 19, 2006

Politica




In tutto quanto il destino umano, non c’è disgrazia peggiore che quando i potenti della terra non sono anche i primi tra gli uomini. Allora tutto diventa falso e storto e mostruoso.
E se sono poi gli ultimi e più bestie che uomini: allora la plebe sale, e sale di prezzo, finchè la virtù plebea dice: “vedi, io soltanto sono virtù”
F. Nietzsche, così parlò Zarathustra, IV,3,2.

Olmert costruttore di pace.


Oggi, gli affezionati lettori del Corriere Della Sera, attingono dalla preziosa fonte d’informazione le notizie seguenti:

Olmert ha promesso di scongelare parte del denaro destinato ai palestinesi (che Israele rapina, da quando è stato eletto Hamas) per impiegarlo in aiuti umanitarii, a patto che il popolo palestinese sia d’accordo a seguire Fatah e indire nuove elezioni, che pongano un’autorità piu’ ragionevolmente porata a riconoscere lo stato di Israele e Hamas sia esautorata.

Le comunità internazionali si son dette favorevoli ad appoggiare Abu Mazen in questo compito e si sono impegnate a mettere un embargo ad Hamas e al suo leader politico Haniyel fintanto che questi non si decida a riconoscere formalmente Israele.

Nel qual caso Olmert si dice più che possibilista a trattare sullo scambio dei prigionieri, tra i quali però non c’è Barghouti perché le trattative per la sua liberazione “non sono in agenda”

Nel frattempo, il leader siriano Assad ha chiesto di poter interagire diplomaticamente con Olmert, ma Olmert ha risposto di no, perché “non vuole fare un torto all’amico GW Bush”. Pensare che la Siria ha chiesto una trattativa, da parte sua senza condizioni. Rinunciando a tutto quello che la Siria aveva precedentemente rivendicato, alle alture del Golan.

Però Olmert dice che no. Che con la Siria bisogna essere intransigenti, perché non c’è da fidarsi e perché secondo lui la Siria continua a sostenere le dimissioni di Siniora, in Libano e armerebbe Hezbollah ed Hamas.

E Ahmadinejad che fa? Annuncia che d’ora in poi si farà pagare il suo petrolio con l’euro, anziché con i dollari.

Inutile aggiungere che noi siamo tra le “comunità internazionali” incondizionatamente schierate con Olmert.

Visto lavoriamo pure noi per la pace nel mondo, mi viene in mente di aggiungere la frase di qualcuno di cui ci apprestiamo a festeggiare il compleanno fra qualche giorno: "Beati i Costruttori di Pace".E cioè beato Olmert. E beati noi, che lo affianchiamo.

sabato, dicembre 16, 2006

PLEASE, VEDERE IL FILMATO AND ANSWER THIS, NOW!!!





Prodi accondiscende alla richiesta di Olmert perché:

1) Perché è gay ,segretamente innamorato di Olmert e non riesce a non viziarlo

2) Perché ha capito che Olmert ha promesso al Papa che non fa sparare ai suoi senza necessità e se mente al papa è peccato molto più grave che se mente a lui, Olmert non rischia di certo l’inferno.
3) Perché…boh? Fanno tutti così

4) Perché sennò gli americani non ci vendono più il petrolio


5) Perché se ci fosse Berlusconi lì, sa che farebbe la stessa cosa. Mortadella non è certo da meno!

6) Perché abbiamo un po’ di soldi da spendere quindi se ci sono conflitti in vista,ci buttiamo a pesce, che sono sempre un buon investimento.


7) Perché abbiamo un po’ di armi da vendere, di carri da vendere, di motori da vendere e se non ce li comprano in america, chi cazzo ce li compra, che adesso comprano tutto in cina


8) Perché così Olmert può sedersi al tavolo delle trattative , spalleggiato da Prodi e altri, mettendo come condizione che lo stato ebraico non tratterà mai, a priori, di trasformarsi in uno stato di diritto.


9) Perché Prodi viene dalla cultura dei Riina e dei Badalamenti (e Provenzano e Corleone ecc..) e certi “inviti” sa cosa significano

A seconda del numero delle risposte che fornite, la bloggara si riserva di tracciare un breve quadro della vostra personalità ;-)

venerdì, dicembre 15, 2006

Un Diamante Nello Sterco


In quel magma di chiacchiere inutili che è la trasmissione di Santoro, che, da quando l’hanno sbattuto fuori dalla RAI, è evidentissimo che se la fa sotto, c’è solo una cosa che vale, il grande, brillante, umoristico e , diciamolo sù, arrapantissimo, Marco Travaglio.

Dario Fo e, soprattutto, Franca Rame, a cui Telese, dopo che lei aveva sconquassato i coglioni per mezz’ora su quanto spendono, spandono e sono iniqui e freddi i nostri politici (ma va? E noi che pensavamo che il senato fosse tutto un rigurgito d’amore , un nido di calore umanitario) ha rimarcato l'aver votato a favore del raddoppio delle spese militari, destinate all’Afghanistan, si sono progressivamente spenti, resi incapaci di dire qualcosa di sensato entrambi.
Dario, verso il finale, ha farfugliato qualcosa a proposito dell’amore che manca sulle banchine dove attraccano gli yacht dei VIP, ma sostanzialmente, quest’ uscita di Telese li ha un po’ ammazzati sotto l’aspetto della loro presenza politica. E giustamente.

Santoro, più che mai patetico, aveva cercato di sviare l’attenzione da quest’osservazione di Telese, non riuscendovi. L’unica ancora di salvataggio lui la trova nell’insignificante presenza della Borromeo, che quando comincia a parlare, lo spettatore si chiede “ma perché questa Borromeo ha la parola?” e così facendo, si distrae dai momenti che sono, per Santoro, più imbarazzanti e penosi.

Invece Travaglio, cui Santoro ha dato uno spazio strettissimo da cui, è evidente, non puo’ uscire, (vale a dire: dì quel cazzo che devi dire, poi muto zitto, non intervieni più) campeggia come un gigante in quel mare di mediocrità.
Quando comincia a leggere i foglietti che ha in mano è sempre, puntualmente, accolto da un silenzio di gelo. Sembra quasi di percepirli i brividi alla schiena di Santoro ( e dei suoi illustri ospiti) , come chi teme gli effetti delle sue parole. E lì, la trasmissione acquista gli unici centomila punti, che perde non appena Travaglio ha finito di parlare.

Un dio, un sublime fustigatore di costumi degli stronzi. Ha il fascino dell’inquisitore di coloro che meritano, eccome, di essere inquisiti. Non si perde mai in banalità. Le sue parole sono colorite,incisive, e svelano sempre particolari interessanti per capire qualcosa in piu’ della classe dirigente che, gentilmente, ci onora col suo dominio.

Che parli di Berlusconi, di Dell’Utri, di Anna LaRosa, di Vittorio Emanuele di Savoia (sua bassezza) strappa loro la maschera mediatica e li denuda, implacabile.

E io devo dire che quest’uomo (che io trovo pure di un figo che ce n’è pochi in giro) scatena in me istinti assopiti, che si rifanno ad un immaginario legato all’inquisizione (che “pende” nel profondo di tutti noi italiani, non solo in me) e me l’immagino vestito da frate domenicano nel ruolo del “giusto” inquisitore degli stronzi. E siccome io verso i preti ho un rapporto ambivalente (quando avevo 13 anni la mia sessualità in fieri è stata turbata da un prof di religione delle medie che ancora adesso popola i miei sogni più inconfessabili) questa rappresentazione induce in me una serie di pensieri che, diciamo, non hanno piu’ propriamente a che fare con la critica politica, ma appartengono ad un ambito di cui non è neppure il caso di parlare in un blog.

giovedì, dicembre 14, 2006

Phisycally correct

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Oggi, la stitichezza è un problema che assilla tanti individui. Vita sedentaria, monotonia dei ritmi, grigiore dell’esistenza, banalità degli ideali, portano le sinapsi ad un rallentamento generalizzato, con conseguente latitanza del pensiero, in particolar modo del pensiero critico.

Essendo l’organismo umano un “unicum” che, contrariamente alle leggi meccanicistiche, risponde a logiche correlate ad un conatus che è di natura psicofisica, anche l’intestino, spesso, arriva a soffrire della stessa letargia di cui soffre il cervello.

Questo spiega il proliferare di pubblicità di innumerevoli prodotti alimentari che vengono commercializzati per indurre l’uomo ad una “regolarità” di carattere intestinale: yogurt miscelati a fibre vegetali e/o sovraccaricati di fermenti lattici che hanno subito un’impennata della domanda, e , nella cui produzione e commercio, si è impiegato grosso sforzo di capitale per togliere sforzo a coloro che, ogni mattina, vedono la tazza del cesso come una tortura o come un miraggio.

I testimonial di tali pubblicità, spesso, hanno requisiti fisici che richiamano ad un dinamismo di vita oramai sconosciuto, o incasellato in tempi e modalità legate ad un concetto di “fitness” del tutto artificiale, per cui il padre di famiglia, che potrebbe fare una corsa al parco con i propri figli, per lo più destina i figli ad un supplemento di ore televisive per recarsi in palestra a trascorrere ore di lavoro muscolare a contatto con sofisticate macchine che ne ottimizzano l’effetto.

Antropologicamente parlando si persegue un ideale di salute che comporta un impegno temporale, dei costi (perché le palestre sono imprese e come tali inseguono il profitto) nella speranza di raggiungere un benessere fisico che limiti la stanchezza fisica e mentale e che, contemporaneamente, offra di se stessi un’immagine gradevole, spendibile sul mercato delle relazioni sociali.

In questo quadro è un piacere vedere come tra i kilombisti vi sia chi offre un humor di altissimo livello, che fa “da pezza” alle follie del mondo contemporaneo, un’occasione di vita per ridere di gusto, esilarandosi per il pregevole e gustoso contenuto delle sue produzioni.

E’ ,certo, un forte spirito umanitario, un senso di fratellanza, che si veste anche delle più acute armi dell’intelligenza, cio’ che anima le autrici di tali artistiche proposte culturali. Un germe di crescita che ha il potere di sciogliere anche il “nocciolo duro” degli effetti che la vita contemporanea provoca in un corpo ormai incallito da ritmi che fan perdere di vista se stessi, il proprio pensiero, finanche il proprio corpo.

Ed è così che, su certi blog, si può compiere il miracolo di ritrovare se stessi, magari in una magica risata di sapore liberatorio, che si esplica, come contraccolpo salutistico, anche in un liberatorio ed espressivo ritrovamento di cio’ che sembrava perduto e che nessuna Alessia marcuzzi, reclamizzando prodotti di dubbia qualità, poteva sperare di far riottenere al suo pubblico.
Provare per credere.

mercoledì, dicembre 13, 2006

Tg dementialis

Lo sconforto mi prende le poche volte che vedo il tiggì, che, per ragioni d’orario, è sempre il tg2 (quando mangio a casa di mia madre mi attengo agli orari suoi).
Della serie: quando la follia umana si incarna nell’ etere e diventa “informazione di massa”,signore e signori ecco a voi il tg2 .
I fischi a Prodi: Fassino dice “si tratta di gruppi isolati” . Prodi dice che “tra cinque anni cambieranno tutti idea” Berlusconi dice “che il governo imploderà sui pacs e sulle pensioni” Qualcuno della lega (l’ho rimosso) dice “che Prodi se ne deve andare, contestato com’è da tutti gli italiani” ( Intanto sono giorni che la lega ,a Milano pianifica un comizio, stile campagna elettorale, contro “il governo delle tasse”, esibendo la faccia di Prodi sotto un divieto di sosta).
L’impressione che dava il tg2 è che Prodi abbia i giorni contati. La locuzione “dopo prodi” è stata pronunciata, in contesti diversi, una dozzina di volte. Spazio immenso poi a Berlusconi che “accoglie Casini a braccia aperte” e che “ingrassa il maiale con cadenza quotidiana” (che cazzo vorrà dire? Gergo da setta dei liberi uomini da porcile? Mah…)

Poi: la destra lavora ad una proposta di legge elettorale. Di cui non si sa e non si dice un cazzo, solo che si privilegerà il bipolarismo e si toglierà sempre piu’ spazio ai piccoli partiti , causa di intoppi e rallentamenti alle attività di governo.

Poi il papà di Erba che “piange”, “scoppia in lacrime” , è sotto shock, ha perso tutto, però di come sono andate le cose non si sa un cazzo, però ci perdono 15 minuti a dire che soffre e ripetere che tragedia immane è accaduta.

Olmert in Italia: gentile col Papa, che ha anche invitato in Israele (che si son detti? Mah) ha trovato un amico in Fini (pensa te, poi i partigiani d’italia si scandalizzano perché ahmadinejad non è un vero antifascista). Con Prodi il dialogo è un pelo controverso: Prodi vuole usare con la siria la via del dialogo, Olmert invece dice che è un paese pericoloso, da isolare, da sanzionare. Ringrazia per l’unifil, ma sollecita piu’ durezza con l’Iran, potenza che vuole egemonizzare il mondo arabo anche con le armi nucleari.
Poi la conclusione della conferenza di Teheran, con due eminenti analisti che parlano: uno anziano e autorevole, l’altro piu’ dinamico,giovane e progressista. Definiscono “vergognosa e pericolosissima” la conferenza. Perché si nega l’olocausto. State in guardia. Chiusa la discussione.

Alla fine, la chicca, a partire da una superficiale e ipocrita analisi del fenomeno dell’usura, prima una critica alla finanziaria di Prodi (ma cazzo ancora non è stata approvata…ne parlano tutti come se l’avessimo sul groppone da cinque anni) poi una serie di consigli alle famiglie che devono “stare attenti a fare troppe rate” . Il discorso per l’esattezza era: “se fate le rate per un bene, è accettabile, se poi pero’ al posto che uno, ne comprate due, tre, quattro, potreste trovarvi in difficoltà con le rate…ci sono le spese impreviste, le malattie ( evvai con lo scongiuro), che comportano spesso dei carichi economici che non si possono sopportare, magari si cade in mano agli usurai - e qui il giornalista chiede: ma a quelli legalizzati o quelli propriamente detti? No, quelli veri, ribatte l’esperto- ci si puo’ trovare in situazioni spiacevoli. Siate responsabili, fate le rate in proporzione alle capacità economica vostra, della vostra famiglia….”
La demenza al potere poi, ha concluso con la sigla del tg. E con un vaffanculo della sottoscritta.

martedì, dicembre 12, 2006

Irving: detenuto per reati di opinione.

La conferenza di Ahmadinejad a Teheran sull’olocausto, mi sollecita un problema che in rete avevo gà affrontato e che penso sia il caso di riproporre: FUORI DAVID IRVING DALLE GALERE AUSTRIACHE.

E come lui, fuori tutti coloro che, nei nostri civilissimi paesi occidentali, sono detenuti per reati d’opinione. Il reato d’opinione è in se e per se una vergogna, una macchia, una negazione dell’essenza stessa della democrazia. Un’aberrazione che porta con se il germe dello sterminio.
Un paese che punisce il reato d’opinione, anche con un’ammenda come il divieto di sosta, è un paese che nella prassi tradisce il principio democratico. Non si può sostenere alcun principio di giustizia sociale, di equità, di pacifismo, se si è disposti a tollerare il reato d’opinione.

Che, nel caso di Irving, è proprio configurabile come violazione dei diritti umani: trattasi infatti di un uomo di 70 anni che, in ogni ordinamento giuridico che si fregi dell’aggettivo di “progredito” e civile, non sarebbe in galera neppure per omicidio, dato che il diritto positivo riconosce i sopraggiunti limiti di età.

Condannare e rinchiudere una persona per quello che pensa o che dice, arrogandosi il giudizio di considerare cio’ che dice socialmente pericoloso apre, a livello di principii, la strada del gulag, dell’internamento al manicomio, della morte del pensiero e della piu’ spregevole repressione.

Il fatto che cio’ venga tollerato in un paese “democratico “ come il nostro, senza tematizzare alcuna discussione in merito, spiega molto bene il perché ci siamo così ubbidientemente allineati con i serial killer che di mestiere fanno “gli esportatori” di democrazia. Di “questa” democrazia.
cloroalclero

lunedì, dicembre 11, 2006

Non abbandoniamo il popolo libanese



La manifestazione libanese è un effetto dell’”asse del male”.
La grande manifestazione che da giorni, ormai, anima il Libano, è stata definita dal viceministro della difesa israeliano Ephraim Sneh, come una “deriva” dell’asse del male.
I media italiani pongono faziosamente l’accento sul fatto che la manifestazione sia guidata da Hezbollah: resta sommessa ogni voce che , invece, sia fortemente voluta e animata anche da Michael Anoun, leader cristiano d’opposizione, vicino ad Hezbollah nella volontà di spodestare Siniora, che ormai non gode piu’ di alcun consenso della popolazione libanese, la quale, se non vi fosse stato l’intervento militare di hezbollah stesso, avrebbe avuto, in seguito all’invasione israeliana, molti più morti dei 1500 che ci sono stati, poiché Siniora, servo degli interessi israeliani, non ha dato all’esercito di stato alcun ordine di intervento.
La manifestazione è immensa, ogni giorno si ingigantisce. Quand’era cominciata aveva già assistito alla discesa in piazza del 25% della popolazione libanese. Ormai la voce che chiede l’allontanamento del leader servo degli israeliani, è unanime.
Peraltro, Hezbollah ha accettato un piano espresso dalla lega araba per uscire dalla crisi politica pacificamente, sempre che Sinora se ne vada senza dare ordini all’esercito, altrimenti il Libano rischia davvero l’evoluzione verso la guerra civile.
Eppure i media italiani insistono nel rimarcare fatti che esulano dalla situazione per quella che è: Sabato sera su rete4 un servizio giornalistico poneva l’accento su come i siriani si siano sì ritirati dal Libano, ma abbiano lasciato sul posto innumerevoli agenti segreti pronti a far precipitare la situazione nel senso di una guerra civile. I media italiani insistono su come la Siria sia pericolosa e che il ministro Sinora ha ricevuto la solidarietà di mezzo mondo: USA, Israele, Francia e Italia, Emirati Arabi, Egitto (non solo, Ha anche l’appoggio di un Mufti sunnita di 'Akkar, famoso per il suo sostegno pubblico a Osama bin Laden,che ha dichiarato che i manifestanti antigovernativi sono "come i pagani che manifestarono contro il profeta Muhammad e i suoi compagni alla Mecca".e pure l’apoggio del leader dei drusi Jumblatt, che evidentemente prende i soldi dagli esportatori di democrazia)…volendo dimostrare con questa affermazione che il milione e passa di libanesi che da giorni sono ormai per strada , per reclamare le dimissioni di un presidente che è ormai illegittimo, sono tutti di hezbollah, naziislamocomunisti che chiedono qualcosa contro la democrazia, quella che l’occidente si fa in quattro per esportare.
Omettono, o dicono a bassa voce, che Anoun, cristiano, è in prima linea, quanto e piu’ di hezbollah, nello sforzo di far prevalere quella che, ormai è chiaro, è la volontà popolare.
I media italiani omettono, distorcono, mentono. Ancora mentono sull’origine israeliana del conflitto di quest’ estate. Omettono la preoccupazione soprattutto israeliana in ordine a questa immensa, oceanica manifestazione (le foto QUI)
La volontà dell’opposizione libanese è chiara: l’autodeterminazione. La liberazione da dirigenti corrotti che permettono un’aggressione militare senza mobilitare l’esercito di stato. Già il presidente Emile Lahoud ha respinto il decreto con cui il governo, il 25 novembre, aveva recepito la proposta delle Nazioni Unite di istituire un tribunale internazionale per le indagini sulla morte dell'ex premier Rafic Hariri, segno indiscutibile che le Nazioni Unite non sono considerate come un ausilio di pace, ma come un organismo di strumentalizzazione, anche culturale, per preparare le guerre.
Oggi, che l’opposizione libanese ha raggiunto accordi con i paesi arabi per la fine della crisi libanese, Israele parla della manifestazione popolare come “deriva dell’asse del male” e, stranamente, si parla anche ( e i media fanno una grancassa assordante) dell’avvertimento di al qaeda che vorrebbe aggredire l’unifil.
La notizia non pare fondata, ma fondato è comunque il timore che ad un certo punto, le milioni di persone in piazza , si vedano attuare sotto il naso un attentato, che scemi tale manifestazione, dannosa “all’immagine di Israele nel mondo” , perché essa dice che è stato aggressore (perdente) del Libano . Così Siniora resterebbe al suo posto, magari usando quell’esercito ,che aveva tenuto al caldo quando serviva, contro i milioni di libanesi che lo vorrebbero dimesso. Allora sì che scoppierebbe la guerra civile. Non è mica Pinochet, Siniora: Hezbollah non starebbe a guardare.
Intanto ieri ci siamo tutti soffermati sulla questione dei PACS , ma il papa ha parlato, durante l’omelia, della “polveriera libanese”, in vista, tra l’altro, dei colloqui con Olmert, questa settimana. Il popolo libanese non va lasciato solo. Non va dimenticato, mai, nella sua lotta per l’autodeterminazione, contro ogni possibile deviazione dittatoriale o bellica.

domenica, dicembre 10, 2006

Il Diavolo tra noi.



Voi, comunisti, marxisti, leninisti, maoisti e tutti i vostri nemici di classe pensavate che "uno spettro s'aggirasse per l'Europa":lo spettro del comunismo?
Invece no. E' lo spettro del DIAVOLO che s'aggira per l'Europa.
Una miriade di individui che circolano intorno a noi, credono che ci sia il diavolo. E che l'unico che possa liberarli dal diavolo è il papa.
Il diavolo, loro lo vedono nella politica corrotta, nell'inquinamento mondiale, ma lì la visione del signore del male risulta un po' confusa.
Quello che percepiscono nelle loro ossa,con la maligna loro diversità-sicuramente demoniaca- sono gli extracomunitari.
Il diavolo si materializza nelle facce estranee degli extracomunitari, che scatenano paure comuni: portano via il lavoro, violentano le figlie, accoltellano i figli, vendono loro la droga, rubano le case popolari.
Ecco che abbiamo l'innumerevole gregge dei cattolici, che, se giovani e timidi entrano nel gruppo parrocchiale e dopo la laurea si trovano a lavorare (precari ma con il sorriso metafisico sulle labbra) nelle cooperative che ruotano intorno alla compagnia delle opere.
Questa massa pecoreccia che vive di week end in montagna e golfini a 300 euro l'uno al Coin, vive i rapporti col resto del mondo attraverso la farsa televisiva e non sta neppure concentrato sulla predica del prete quando la domenica, rigorosamente, va a messa.
Però s'indigna: bestemmie all'isola dei famosi e violenza nell'"uomo tigre".E vota.
Vota Mastella, vota Formigoni. Se il gregge è siciliano, vota Toto' Cuffaro.
Questo insieme di milioni di ovini però (come scrive Blondet nel suo ultimo articolo)
crede che Babbo Natale sia Gesù bambino cresciuto, e che il capo vero della religione sia il Papa. Di conseguenza questo ha un potere immenso e non gli serve neppure l'esercito.
Il popolo cristianino, dunque teme il diavolo. E ritiene che l'ordine sociale cui fanno riferimento le parole del papa sia quello giusto, che li libererà dal diavolo.
L'ordine che vorrebero (no pacs, no aborto, no marjuana, no divorzio)lo vogliono per tutti, e l'elemento di autoritarismo che c'è nel far sì che un principio sia imperativo anche per chi non lo condivide, gli dà ancora di piu' l'anelito soprannaturale di chi combatte il diavolo. Millenni di inquisizione,presente nell'oscurità dell'inconscio collettivo, sono alla base di questa visione.
La rinuncia ai pacs, infatti, non impone nulla a chi vuol sposarsi in chiesa, ma impone di subire una certa visione del mondo a chi con la chiesa non ha nulla a che spartire.
Questo elemento di coercizione universale attraverso convinzioni di un gruppo, dona a questo gruppo e alla sua configurazione gerarchica, la "mistica" necessaria a fargli perpetuare il suo potere.
La vera cosa su cui il "popolo di sinistra" (che aspetta il GRANDE PARTITO DEMOCRATICO e non crede più alla lotta, al punto di accusare dei politici che, per attirare l'attenzione sui CPT, di cui piu' nessuno parla, si rinchiudono in uno di essi)dovrebbe sinceramente incazzarsi, è che 2 sono le coalizioni, una di destra e una di sinistra. Entrambe infiltrate di politici che vogliono farsi votare da questa bolgia di credenti.
QUindi in Italia di laicità si parla, ma a questo punto tanto vale parlare direttamente di anarchia, perchè i due ideali sono parole così lontane dalla loro realizzazione, che, utopia per utopia, parliamo della migliore, che perdiamo meno tempo.

sabato, dicembre 09, 2006

Bruce Lee: il mito di uno sconfitto



Stasera ho avuto modo di vedere uno dei pochi film fruibili in prima serata in tv: “vita di Bruce Lee” che ne ricalca,grosso modo, la storia vera.
Il giovanissimo cinese torna in California (dove era nato, ma che aveva abbandonato piccolissimo per seguire il padre, celebre attore di Hong-Kong ,all’epoca del ponte aereo che Kennedy aveva organizzato su berlino)
Un’america razzista, uniformata. In cui gli immigrati cinesi erano visti come i lavandai, i cuochi di ristoranti etnici. E che erano ghettizzati, sia fisicamente (in quartieri loro) che culturalmente (i cinesi stessi non cercavano l’incontro fra culture)
Bruce Lee, che durante l’adolescenza aveva seguito un grande maestro di Kung Fu,Yip Man, in Cina, e aveva già vinto molti combattimenti, cerca fortuna in America, con la speranza di continuare nella pratica del JuJitsu, che nel frattempo aveva integrato con lo studio del Karate e del Judo.
Con una laurea di filosofia in tasca,dunque, Bruce bazzica le palestre americane di arti marziali .

Muscolosissimo, ma costituzionalmente esile e di statura medio bassa, Bruce non pareva un avversario temibile; in palestra però si rivela essere praticamente invincibile, sia contro i colossi americani che avevano imparato mediocremente le arti marziali, ma esce anche imbattuto da lotte con i propri connazionali, spesso esercitati, a differenza di lui, su una sola arte marziale, che imparavano a rispettare in tutte le sue formalità rituali.

Bruce non era un ribelle, non era un antitradizionalista, personalmente, però, nelle arti marziali era così dotato, che imparava molto e molto velocemente, scremando quelle che riteneva formalità troppo lunghe e non abbastanza efficaci, dalle tecniche apprese nella molteplicità delle arti e mischiandole assieme in modo individualmente superomistico, reinventando per le tecniche fisiche,fondazioni diverse da quelle attinte all’iter mistico di derivazione buddista, tao e zen.

La filosofia di Bruce Lee era una specie di magia fisica, intesa in senso mistico alla Giordano Bruno, per intendersi: considerare come la concentrazione attinga alle potenze più semplici e più potenti della natura, infinito con infiniti centri, che contempla in ogni microevento una connessione ricca di infinite sfaccettature, in contatto con ogni altra sfaccettatura dell’universo.

Bruce considerava le arti marziali come fondate in una possibilità antropologica universale, quindi esprimibili comunicazionalmente.
Iil film vi porta nel piu’ bel periodo della sua vita, quando ottiene un successo come maestro di Jeet Kune Do(di cui è praicamente l’inventore e che riassume in se principi e tecniche di tutte le arti cinesi del combattimento) , coronata da una vita familiare amorosa ed economicamente più che dignitosa, visto che i suoi discepoli aumentano di giorno in giorno, tanto da indurlo ad aprire molte scuole.

Ma, come gli disse il suo maestro cinese dell’adolescenza, “quando credi di aver raggiunto una meta ecco che il nero samurai ritorna a minacciarti, e al tramonto dovrai combattere”.
Il nero samurai rappresenta le nostre paure, le nostre nascoste infermità. Quelle che si ereditano, quelle che ci hanno spaventato da piccoli, quelle che non si sono ancora affrontate e di cui temiamo la forza distruttiva per il nostro essere.

In quel momento della sua vita il samurai nero è rappresentato dalla lobby dei maestri di arti marziali cinesi, che trasmettono la sapienza delle antiche discipline solo a persone di stirpe cinese. I quali gli intimano di chiudere le palestre e smettere di insegnare a bianchi e afroamericani.

Bruce ribatte che considera la cultura cinese qualcosa di superiore che vale la pena di insegnare agli altri. Poiché i maestri sono irremovibili, egli decide di portarsi via il diritto di insegnare a modo suo, con un combattimento.

Che avviene. Coi maestri come arbitri indiscussi e contro un cinese cattivissimo, che combatte con molte tecniche come fa lui.
Bruce vince, l’avversario si dichiara sconfitto, però poi, ad un cenno dei maestri-arbitri, lo colpisce con un colpo alla schiena che, praticamente, gli rompe tutte le ossa e gli danneggia la schiena. Bruce resta immobilizzato per due anni, in presenza di una diagnosi infausta, che lo condannava alla sedia a rotelle.
Tuttavia, supportato anche dalla novità della nascita della seconda figlia, Bruce, aiutato dalla moglie si dedica ad una autocura disciplinata, fondata proprio sull’amore con cui, durante la convalescenza, detta alla moglie i principali segreti della sua arte, e che diventerà un suo libro.

La convalescenza è titanica, la comunicazone pedagogica di questo periodo è affidata alla moglie, anche per la difficoltà di usare le braccia. Alla fine però, Bruce recupera ogni abilità motoria e ricomincia a combattere. Questa volta viene ingaggiato dalla televisione.


Recita la parte di un cinese maestro di arti marziali, nel far west. Però la pacchia dura poco. La produzione termina la serie televisiva. Nel Frattempo Bruce torna in Cina perché è morto suo padre. Lì incontra il suo antico maestro che gli ricorda come Bruce abbia ereditato dal padre un drago (il drago rappresenta proprio la negatività ereditata) contro cui, pur nella sua bravura, non ha imparato a difendersi.
Lo mette al corrente del rischio di lasciarlo in eredità al figlio.
Bruce viene contattato da un produttore cinese per una serie di film sulle arti marziali. Si trasferisce in estremo oriente con tutta la famiglia e lì sembra continuare la felicità.
Però, durante le riprese su un set in Thailandia,viene aggredito dal fratello di un ex avversario a cui aveva fatto tanto male (quello che lo aveva invalidato per conto della lobby di maestri cinesi e dopo la guarigione aveva nuovamente combattuto , rendendolo invalido) e nel combattimento lo uccide.

Da quel momento gli equilibri si rompono. La moglie vuole tornare in America perché si è rotta dell’estremo oriente. Lui non vorrebbe,teme il razzismo, la civiltà occidentale non gli piace, ma poi torna per seguire la moglie che minaccia di lasciarlo e lo attende uno smisurato successo a Hollywood, ma con la moglie non andrà più d’accordo. Nel frattempo viene inghiottito dallo stile di vita da vip tipicamente occidentale,il suo fisico si ammala e muore nel 1973 a 33 anni.


Il film era molto bello toccava molti aspetti della vita del grande maestro cinese: il razzismo, il rapporto tra la tradizione e il suo modo (condizionato, ma dipendente) di trattare con la moglie, cui tenta di imporre il suo maschilismo, ma poi, sulla scelta più grossa, cede.

Io penso che lui sia stato con le arti marziali l’equivalente che Nietszche è stato in filosofia. Ha coltivato la tradizione, ne ha assimilato tutti i linguaggi e gli orizzonti, poi li ha personalizzati, nella convinzione che non fosse la “tradizione” a fornire la forma dei significati, ma che fosse l’individuo a imprimervi i suoi, trascendendo il passato, le sue liturgie, le sue superstizioni, pensando che la “forma” potesse scaturire anche solo da ciò’ che noi chiamiamo “bello”, che è presente in ogni microscopico evento della vita e che ,taoisticamente, si identifica con cio’ che apparentemnte è il suo contrario.
L’unica forma universale è la non forma.Qui troviamo l’essere, nella dimensione che oltrepassa le apparenze e che non puo’ essere affidato ad alcuna parola, ma che mantiene in se , nella sua dimensione immensa,anche il non essere. L’uno è anche il due. Il sì e il no. Il tao e la sua negazione.
Bruce però, al contrario di Nietzsche, è uno sconfitto, perché ,nella ricerca di cristallizzare la perfezione interiore in una“perfetta forma” ravvisabile nella pura plasticità della tecnica, rappresentabile nel mondo esterno, va contro se stesso e contraddicendosi, rinuncia all’essenziale dimensione comunicativa che la sua arte, proprio costituzionalmente, esigeva (il combattimento, nella arti marziali, non è uccidere l’avversario, non è combattere sulla scorta di sentimenti forti, non è la cinematografica plastica di mosse spettacolari).

Invece Nietzsche non ha mai smesso di comunicarne, ha sempre risolto le sue contraddizioni scrivendo, parlandone.Parlando della filosofia e di se stesso. Ed è proprio in questa parola affermata, perché scritta, che Friedrich Nietzsche riesce a neutralizzare cio’ che dice quando si nega. Ma questa auto affermazione nell’auto negazione, incorporata negli “scritti col sangue” prodotti dal filosofo, ne costituiscono la rigorosa, fin nei minimi particolari, coerenza. La fanno emergere come una forma sconosciuta da una pietra scolpita per rappresentare qualcos’altro.
Una coerenza che si traduce in ricchezza filosofica che possiamo leggere e patire con lui, come i suoi scritti gridano di fare, mentre denigrano e infangano( dicendo parimenti la verità), il sentimento della compassione.

venerdì, dicembre 08, 2006

Che fatica (e che palle) la democrazia!

In un blog (inpolitica.net) ho sostenuto l'ennesima discussione con dei sionisti, che sostenevano la solita storia che Israele si difende, che l'ONU è iniqua perchè non condanna apertamente i palestinesi,colpevoli di non riconoscere Israele. La solita roba, insomma. In cui io sostenevo la banale tesi che Israele dovrebbe riconoscere loro, a livello di diritti civili, invece che tenerli ingabbiati come subumani, prendendoli per il culo con sta storia dei due stati che non vengono fuori mai.

Alla fine concludono (3 contro me) che io parlo per slogan, che sono "un provocatore" e che "possibile che non c'è nessuno con cui parlare seriamente" (tradotto, che dà loro ragione)
Pertanto ho risposto loro come segue. La posto perchè m'è venuta carina...:-)

... : maga Pysystratah
Salve, sono la Maga Pysystratah, volevo comunicarVi che nell'ultima seduta spiritica, fatta con tutti i crismi,di venerdì 13, ho evocato lo spirito di Yasser Arafat. Ha detto che è pentito, che è molto pentito. Che non aveva capito che Yeretz Israel E' STATO FATTO PER I PALESTINESI. E lui questo non l'aveva mai capito. Che gli israeliani volevano,anzi vogliono ancora, regalargli una terra migliore: spiagge,frutteti,ananassi,cocchi che scendono a grappoli dagli alberi. Che non è vero che gli israeliani non li vogliono i palestinesi,come loro cittadini, ANZI, che era già pronto un piano di gemellaggio tra TERRE PROMESSE. Brindando con succo di pomplemo e pane azzimo.Facendo eleggere due sindaci belli e abbronzati che sorridono e si abbracciano e si fanno fotografare mentre inaugurano una centrale elettrica che fa funzionare anche i camioncini dei loro bambini.
Ho parlato anche con D.o, che ha promesso che farà uscire Barghouti di prigione e farà pure qualcosa per il povero Ariel, che in quell'ospedale è un po' triste e fa i brutti sogni (chissà perchè), ha detto che vedrà quel che puo' fare. Se è di buon umore, lo tira su come Lazzaro (tanto è piu' facile perchè non è ancora morto) e gli regala pure una bella linea invidiabile.
SHALOM
07 dicembre 2006

ps hanno risposto che mi dovrei vergognare. Io. Mah...

mercoledì, dicembre 06, 2006

Privatizzazione Alitalia: infamia di stato a favore degli schiavisti esteri.

L’Alitalia, gettata in una crisi irreversibile, insieme con Trenitalia, mentre il precedente governo deliberava in merito a TAV e ponte sullo stretto, è stata rovinata da amministratori delegati pagati tanto oro quanto pesano. 6millions euros men che si sono preoccupati di fare investimenti idioti, di assumere amici loro incapaci, di prendere iniziative inutili,che è andata bene se non ci sono stati incidenti aerei di rilievo ,eccezion fatta per i 118 morti di Linate. Che ,detto per inciso, sono morti in virtu’ dell’assenza dei radar di terra. Tenete presente che, quando inaugurarono Malpensa 2000, il prgetto era quello di creare un superaereoporto supercollegato con Milano, punto di riferimento per il tasporto aereo del nord Italia, che, questo era
pure nel progetto, soppiantasse Linate, di cui era concepito lo smantellamento.
Ergo non mi soprese quando, nel 2002 tutti si chiesero “come mai il radar di terra non c’era?” Tagliarono con “non c’era mai stato” ma nessuno concluse con “e come mai non l’hanno costruito?” Ennò.Perché altrimenti avrebbero dovuto DIRLO che non ci hanno speso soldi perché qualcuno (Formigoni) aveva parlato di smantellamento (progressivo, ma smantellamento).

Finora le crisi economiche sono state sovvenzionate dallo stato e dall’Europa. Bastava che un’azienda fosse in crisi e che fosse ben introdotta nel “giro” della politica, che si riusciva ad ottenere cospicue somme (centinaia di migliaia di euri) per “rilanci” in termini di acquisto di nuove tecnologie, o know-how , o progetti di ripianificazione. Detto terra terra, il fattore “essere nel giro della politica” è stato un fattore determinante per prendere sovvenzioni.
Se si trattava di un’azienda pubblica, le sovvenzioni andavano a finanziare partiti, campagne elettorali, propaganda varia.
Se si trattava di un’azienda privata, semplicemente, gli imprenditori davano le mazzette a chi di dovere, poi scappavano, coi soldi, alle Cayman.

Le banche straniere sono sempre state complici di questi colpacci all’Italiana. Dopo un po’ di anni che si parla di crisi, alla fine si presenta l’alternativa della privatizzazione.
Se le azioni ci sono già bene. Se non ci sono, si creano. Vedi Enel e Aem.
Oggi, l’Alitalia è messa all’asta, perché o si smantella, o si vende e si rilancia. Presumo che ai dipendenti la faccenda sia stata presentata così. Meglio dipendenti di una compagnia privata, che in mezzo a una strada. E siccome dopo l’11 settembre, le compagnie aeree sono un pelo in crisi, non c’è una grande possibilità occupazionale alternativa.

Mussolini aveva creato l’IRI istituto per la ricostruzione industriale.
A me fa cagare Mussolini, ma determinate cose dovrebbero essere riprese in considerazione.
Queste cose si chiamano IRI e socializzazione, che, ripresa, non sarebbe certo “corporativa”:
L’Idea della socializzazione è adattabile anche ad un’economia capitalistica: significa che se un’azienda è in crisi si provvede alla dichiarazione di fallimento degli imprenditori.
Dopodiché l’azienda si becca tutti i sussidi e i finanziamenti previsti.
Tuttavia la connotazione della proprietà cambia: diviene dei dipendenti. Che automaticamente diventano azionisti “alla pari tra loro” dell’azienda.

A questo punto l’azienda comincia un processo di autoorganizzazione della nuova dirigenza, eletta tra i dipendenti che hanno delle idee.Gli Stipendi vengono decisi da tutta la collettività aziendale, partecipe e fautrice, col voto, delle iniziative di destinazione dei finanziamenti. E anche dell’eventuale conversione di certi settori della produttività.

L’acquisto di quanti e quali macchinari, prepensionamento di qualcuno, quali settori promuovere e con quali idee. Tutto questo verrebbe deciso da riunioni collettive dei dipendenti, con mozioni e votazioni finali.
Quel che c’era alla base di quest’idea ( e non per niente Mussolini era stato un socialista) è un concetto di “proprietà privata” utile alla collettività.
I soldi, in effetti non sono niente. Non te li puoi mangiare,né bere, non li puoi mettere nel serbatoio. Se presso il consesso umano, si usa dargli valore, devono almeno produrre un beneficio per la compagine planetaria , se ti permettono di vivere “ad un certo livello”.

Una politica di “sinistra” deve badare sì a ridurre il debito pubblico, non per far gli interessi della BCE, ma della collettività che sta governando.
Deve ridurre il debito pubblico perché la maggioranza si coinvolga in una vita degna, magari di lotta, ma degna di un senso che sia diverso dal guadagnare perché per 12 ore al giorno si fa l’interesse del potente di turno.
Una politica di sinistra non deve vendere l’Alitalia. Deve socializzarla, dando una possibilità alla proprietà collettiva, concetto che ne anima i presupposti, generalissimi e comuni, della sua tradizione. Magari sapendo e dicendo che la possibilità è una sola, che il quadro dell’azienda socializzata sarà il quadro liberistico del mercato.
E’ la prospettiva antropologica che è diversa. Qualche centinaio di dipendenti possono fare dei tentativi molto più creativi, ed efficaci, se sanno che i loro posti di lavoro sono a rischio.Non nel senso, però, del leccaculaggio e del superlavoro da bestia da soma, per far arricchire il commenda di turno.

E’ chiaro che una proposta del genere dev’essere concepita accanto a delle iniziative “sovietiche” per chi è colto a truffare/rubare alla collettività. Se presi, costoro dovrebbero rischiare i lavori forzati, ma con la palla al piede, però.

martedì, dicembre 05, 2006

Per Una Sinistra Antisionista

Spesso mi trovo a discutere nei forum e ei blog sul problema del sionismo. Vorrei togliere ogni dubbio sulla mia posizione in merito.
Da un lato penso che “essere di sinistra” sia incompatibile con un qualsivoglia appoggio all’attuale politica dello stato di Israele. D’altro lato non credo sia di sinistra neppure predicare “la cancellazione” dello stato di Israele.
I sionisti hanno molti appoggi, sia a destra che a sinistra, per ragioni culturali diverse. A destra lo stato di Israele è ammirato perché ricco, perché occidentale e perché “deciso” nel proprio nazionalismo. La sinistra invece esalta Israele sulla scorta di un non ben identificato “antifascismo” che farebbe riferimento a Hitler, nemico comune, nella seconda guerra mondiale.

La mia tesi è molto semplice: Israele attua, nei confronti dei nativi palestinesi, un’aggressione che continua ormai da decenni, per difendere un regime di apartheid. Sarebbe ora che gli stati civili mettessero fine a questi soprusi, richiamando gli israeliani a tenere un comportamento di civiltà, attraverso l’integrazione dei nativi palestinesi all’interno dello stato israeliano. Abbattendo muri ed estendendo il diritto di cittadinanza. Posso essere d’accordo nel considerare ormai la terra di Palestina conquistata dagli israeliani. Ma cio’ che mai e poi mai avrà la ia approvazione, è che in quella terra vivano milioni di persone che non hanno il diritto di cittadinanza, il diritto di proprietà, il diritto al lavoro, il diritto alle infrastrutture, il diritto alla pace, come dovrebbero aspirare ad avere i cittadini di un territorio ,pur conquistato, che esiste dal 1948.
Ma Israele,da quella data ha instaurato, nei fatti e nella legislazione, un regime razzista, perché con nessun altro nome possiamo chiamare questa vergognosa condizione in cui vivono i palestinesi.
Non si puo’ essere di sinistra ed approvare questa situazione. Come non si poteva accettare Pinochet e come non si poteva accettare Pretoria. Questo mi sembra un dato oggettivo.
La guerra israeliana viene mistificata come un “pasticcio” a cui “mancano idee per porvi rimedio”. Da decenni si prendono per il culo i palestinesi e l’opinione pubblica con questa storia dei “due popoli e due stati” , salvo poi arrampicarsi su specchi improponibili quando si tratta di “ritagliare” il territorio dei palestinesi. Allora si comincia a ragionare come se si giocasse a monopoli per poi finire con risiko.
Israele è uno stato razzista creato su basi razziste. Quando, ancor prima del ’48, fu occupata la Palestina attraverso acquisti di lotti di terreno da “feudatari” arabi, fu creata l’Organizzazione Sionistica per l’Acquisto del Suolo (Keyet Kayamenet Leisrael, KKL) la quale organizzazione si dette un “regolamento” cui gli ebrei si attennero, che previde di vietare la vendita di terreni a famiglie arabe (quindi molti contadini che avevano dovuto abbandonare le terre si trovarono proibito il potersele ricomprare) nonché di non assumere braccianti arabi per lavorare la terra.
Abraham Granovky (Granott) fu l’agronomo responsabile di queste iniziative che sanno tanto di “lebensraum” nazista. Perché di questo si trattava. Riservare lo spazio vitale ad Ebrei, facendo sì che lo lavorassero con le loro braccia, escludendo gli arabi dalla vita agricola.
Prima del 1947 il KKl aveva acquistato appena il 6,6% del suolo palestinese. Per cui, dal 48, le misure si intensificarono. Leggi israeliane dichiaravano “demaniali” terre che venivano confiscate arbitrariamente, terre che venivan comprate o conquistate in seguito a guerre.
La legge sull’amministrazione della terra in Israele, del 15/16 luglio 1960 dichiarava “demaniali” 18000 kmq su 22255, all’interno dei confino anteriori al 1967.

I kibuzzim e i Moshavim erano forme di lavoro collettivistico della terra. Forme ispirate a criteri socialisti, se non fosse stato che, sia prima che dopo il ’48, da queste forme di economia agricola, gli arabi erano esclusi. Prima da un divieto interno alla comunità ebraica. Successivamente furono proprio le leggi israeliane a suggellare questa forma di razzismo, per cui gli arabi dovevan essere scoraggiati a vivere lì, quindi dovevano astenersi dal lavorare la terra, come proprietari o come braccianti. Bisogna anche dire che, con la formazione dello stato di Israele, per esigenze di profitto, spesso queste leggi (in vigore ancora oggi) sono state trasgredite.
Non mi soffermerò adesso a illustrare come, successivamente al 1948, praticamente tutti i governi israeliani, di destra o di sinistra, abbiano scoraggiato anche l’assunzione della manodopera industriale, agendo sul costo del denaro e retribuendo , a, parità di lavoro, dei sussidi aggiuntivi agli operai di stirpe ebraica, cosicche’ i palestinesi restassero svantaggiati (Dan Diner: problema dello stato nazionale e conflitti nel medio oriente. In tensioni e conflitti nel mondo contemporaneo, Feltrinelli, 1983). Cio’ che mi preme sottolineare è che quando parliamo di Israele parliamo di uno stato che: è la terza potenza nucleare del mondo. E’ il primo nella ricerca scientifica. Un paese ipersvilupato, come gli altri paesi occidentali, che, è vero, ha integrato anche genti di altre stirpi elevandone anche i privilegi, ma in misura davvero irrilevante .Nei fatti: 3 milioni di persone stanno sospesi, fanno parte dello stato di Israele, certo, in attesa dei “due popoli, due stati” . Ma stanno come stavano a Bergen Belsen nei territori del fuhrer, praticamente in un campo di concentramento, continuamente vessati con la scusa della sicurezza degli israeliani.
Sottoumani, Senza diritti, senza medicine, con poco cibo, in certe zone non c’è piu’ l’elettricità. Poi uno dice: come mai si fanno saltare? Come mai (questi bastardi chiavacammelli) hanno votato Hamas?
E intanto Israele rifiuta tutto. Rifiuta le truppe Unifil nei territori occupati. Perché? Aiuterebbero a controllare i terroristi no? O forse le truppe unifil sarebbero testimoni scomodi di un genocidio in atto(che sarebbero costretti ad interrompere)? E come classificare gli “incidenti” con “coloni facinorosi” che accadono ai pacifisti stranieri che vanno la a fare i volontari?
Però , povero, povero, Israele, ha missili puntati sull’Europa. Su tutte le capitali. Quindi noi siamo sotto lo schiaffo di un attacco missilistico (nucleare) senza però avere nessuno che li abbia puntati su di lui, neppure Ahmadinejad, perché lui, il nucleare, non ce l’ha e si vocifera che Israele lo colpirà ben prima che possa solo progettare la prima bomba.

Concludendo: ribadisco l’incompatibilità di ideali di “sinistra”: eguaglianza, democrazia, diritti umani, dignità dell’uomo, con l’adesione alla politica israeliana. Che, peraltro, è la politica più pericolosa che si stia facendo in occidente, che ci condurrà, se continuiamo ad esprimere governi che orgogliosamente ne sono amici, alla terza guerra mondiale.

sabato, dicembre 02, 2006

Economico Razzismo Italiano

C’era una volta un’Italia bianca e (demo) cristiana. L’Italia dal dopoguerra alla metà degli anni ’80. Quando, qui a Milano, andavi in metropolitana e riconoscevi solo passeggeri “bianchi”, dove le genti di altre stirpi erano sparute e, quando presenti, guardate come extraterrestri.

Dapprima c’erano solo gruppi di senegalesi comparsi verso la fine degli anni 70 a vendere tute da ginnastica abusivamente. L’ondata migratoria massiccia da paesi lontani, l’Italia l’ha conosciuta verso la fine degli anni ’80.
Il razzismo però, era già patrimonio collettivo dell’Italia dall’immediato dopoguerra, quando Luchino Visconti, in quel memorabile film che è “Rocco e i suoi fratelli” mostra una famiglia siciliana emarginata in una Milano che il cuore in mano non l’ aveva ancora, nelle cui strade erano esibiti cartelli “non si affitta a meridionali”. Nel film vi si mostra la profezia che si autoavvera, e cioè che se all’emarginato gli affibbi a priori l’etichetta di delinquente, lui comincia a delinquere davvero. E così si consuma lo stupro della diafana Annie Girardot, in quello stesso film, vittima del razzismo degli altri.

In realtà il popolo meridionale andò amalgamandosi abbastanza rapidamente nei quartieri popolari del dopoguerra, contribuendo alla ricostruzione e al decisivo decollo della “rivoluzione industriale” , che in Italia è avvenuta abbastanza tardivamente, rispetto agli altri paesi.
Come esprime lo storico Marco Revelli, nel libro “lavorare in Fiat” L’apporto dei giovani operai meridionali fu fondamentale , perché rinnovo’ il sostrato culturale del movimento operaio ,instillando l’idea della legittimità delle pretese di miglioramento della dignità e delle condizioni di lavoro in fabbrica. Fino ad allora, il movimento operaio era stato di matrice settentrionale,e si era mostrato docile alle pretese dei padroni, fatta eccezione per il periodo fascista-repubblicano, al punto che in Fiat,dopo la guerra , l’operaio pretenzioso dal punto di vista dei diritti veniva messo a lavorare al reparto verniciatura, il che significava una breve e dolorosa aspettativa di vita, per via dell’avvelenamento cui era sottoposto.
Fu proprio sul terreno della solidarietà negli strati bassi della popolazione, impegnata a scioperare e protestare contro l’avidità dei padroni, che venne superandosi la diversità culturale e il razzismo che animava gli italiani al loro interno. Questo processo però vide protagoniste solo le grandi città del nord: Torino, Genova e Milano. Mentre, per esempio, le province venete, dapprima attossicate da una perenne stagnazione economica che costringeva la gente ad emigrare all’estero (i “terroni” del nord) hanno dato vita, solo dagli inizi degli anni 80 , ad una borghesia industriale (si pensi ai Benetton e agli Illy) da cui partì un forte messaggio di “sindacati che rovinano l’Italia”, di “operai che han voglia solo di scioperare”. Non avevano intenzione, questi padroni, di farsi ricattare dalle pretese operaie che ,secondo loro, avevano così messo in ginocchio la Fiat e in poco tempo questa sottocultura si propagò alla borghesia tutta, e così la Lega fu.
La cosa paradossale è che , mentre la Lega (prima Lega Lombarda, poi Lega Nord, avendo nel nord est italiano i suoi maggiori consensi) saliva i vertici della politica, acquisendo sempre piu’ consensi, e basando la propria propaganda su “roma ladrona” e “basta l’Italia in mano ai terroni”cominciava l’immigrazione degli africani, massiccia, inarrestabile. Africani che spesso passarono dalla vendita di felpe (negli anni 70 sparuti e guardati con curiosità) e magliette sotto la metropolitana di Cadorna, agli altiforni delle acciaierie venete. Di fatto, la parte piu’ ricca dell’elettorato leghista, fu quella che incoraggio’ l’immigrazione extracomunitaria: manodopera a più basso costo , non pretenziosa, abituata a condizioni di vita per le quali, una giornata in altoforno equivaleva ad una giornata da top manager ad Acapulco per un italiano.


Oggi, che viviamo , di fatto, un aggregazione massiccia di culture diverse nella nostra provinciale società, il razzismo si è fatto più capillare, investe anche casalinghe fino a ieri indifferenti ad un fenomeno che oggi è diventato “un problema”. Ciò avviene perché le condizioni economiche si sono deteriorate un po’ per tutti, tanto che il potere, non rinunciando mai alla propria avidità, riesce a far digerire alla massa che il progressivo annichilimento di servizi sociali ( e ci metto anche ospedali e acqua) a fronte di tasse sempre piu’ elevate per tutti i cittadini, è “necessario” perché l’Italia “non è più produttiva.
E così le politiche di rilancio della “produzione” diventano, nei fatti, politiche di peggioramento dei contratti, di innalzamento dell’età pensionabile, di rapina delle liquidazioni. Senza contare che la politica monetaria di questo paese, con l’introduzione dell’euro, ha raddoppiato in una botta sola il costo della vita (1 euro=mille lire come potere d’acquisto, non è semplicemente un luogo comune).

Il potere, come le ricche signore VIP, segue la moda. Si è aggregato infatti al capitalismo imperialistico che, dalla fine della guerra fredda in poi, è stato imposto dalle caste dominanti. Trovando nell’insofferenza dei “nativi” verso l’afflusso degli extracomunitari, per esempio un valido pretesto culturale per soffiare sul fuoco della guerra ( e parteciparvi attivamente, sia come investimenti che come commercio che come apporto umano) che , nella fattispecie è guerra all’Islam, poiché, per via del patto atlantico, noi siamo aggregati agli stati uniti.

Nel frattempo, la borghesia trova il modo di spostare l’apparato produttivo italiano in Cina , in Romania o in India. Di soppiatto, per risparmiare sui salari e sui contributi. Con la complicità del potere che “si vede costretto” a privatizzare e a proporre contratti indegni, emanare leggi sul lavoro che promuovono il precariato e rapinare la gente delle liquidazioni.

In questo bel quadro di politica economica affetta da incapacità e da spirito di rapina, le coalizioni di destra e di sinistra si trovano sempre miracolosamente d’accordo.
Si dividono sulla quantità di cannabis, sulle leggi per la fecondazione artificiale e sull’eutanasia. Cio’ che lascia al potere dubbi, cioè, è solo quanto attiene ai comportamenti individuali delle persone ormai culturalmente ed economicamente deprivate, che devono subire le conseguenze delle “tavole morali” di questi disonesti ed avidi “governanti”. Che sulle azioni di legittimazione dello sfruttamento e dell’impoverimento delle masse, sono sempre tutti d’accordo.