
Italo Nobile di Pensatoio mi ha attaccato su alcune prese di posizione sui miei ultimi post. La prima cosa che ho pensato è stata: finalmente un interlocutore all'altezza. Ma poi ho pensato che me la tiravo troppo. Però ho lo stesso cercato di rispondergli.
Ho cercato di seguire il dibattito in cui si sono impegnate Cloro e Dacia Valent.
Comincia Dacia domandandosi perchè chi equipara la resistenza alle foibe poi si scandalizza della "liberazione" di Priebke. La domanda è azzeccata, ma Cloro prende la palla al balzo per dire che gli attentatori di Via Rasella sapevano le conseguenze del loro gesto e dunque erano corresponsabili della rappresaglia. Uriel ribatte che non c’erano leggi che regolassero il diritto di rappresaglia sui civili, mentre Cloro assicura che il rapporto in caso di rappresaglia secondo le leggi di guerra era 1:10 e invoca a suo appoggio il fatto che un certo sito non contesta tale proporzione (argomento un po’ debole) e cita il provvedimento del Gip che esclude la non punibilità dell’attentato di Via Rasella in quanto legittimo atto di guerra. (ma questo non c’entra con la questione della rappresaglia).
Inoltre cita un’intervista a Bentivegna che parlerebbe di un presunto art. 29 della Convenzione dell’Aja del 1907 che parlerebbe di rappresaglia, ma di tale articolo non si trova traccia., né si trova traccia di un presunto articolo 42 citato da questo sito.
Cominciamo con la questione "tecnica". La citazione di Bentivegna, l'art.29, non riguarda la convenzione dell'Aja del 1907 (che rettificò lo status del trattamento dei prigionieri di guerra e dei malati) ma quella del 1899 che recita:
È da riguardarsi come spia solo colui che clandestinamente o sotto falsi pretesti raccolga o cerchi di raccogliere informazioni nella zona d’operazione di un belligerante, coll’intendimento di comunicarle all’avversario.
Non sono, pertanto, spie i militari non travestiti che fossero penetrati nella zona d’operazione del nemico affine di raccogliervi informazioni. Similmente, non sono considerati come spie i militari e i non militari, che adempiono apertamente la loro missione, incaricati di trasmettere dispacci destinati sia al proprio esercito, sia a quello nemico. Appartengono a questa categoria anche gli individui mandati in pallone per trasmettere dei dispacci e in genere per mantenere le comunicazioni fra le varie parti di un esercito o di un territorio.
Ora la citazione di quest'articolo da parte del gappista, significa ch'egli sapeva che le spie non sono protette ne' dalle convenzioni internazionali , nè dal diritto umanitario. E che i partigiani potevano a buon diritto (per la loro costituzione di esercito irregolare e per lo status di città aperta che precludeva la legittimità degli attentati) essere considerati tali.
Il diritto penale di guerra stabiliva il dovere di proteggere i soldati tedeschi (ma anche nel caso degli inglesi e dei russi), per cui chi li uccideva era considerato spia e,contrariamente ai principi del diritto internazionale, veniva fatto valere il "diritto di rappresaglia", nonostante la convenzione dell'Aja del 99 dicesse cose che ne contrastavano la legittimità. 1-10 era la proporzione conosciuta, dalla popolazione: a Kappler fu riconosciuta a Norimberga (lui sostenne che erano stati sicuramente appesi manifesti prima di via Rasella, questione controversa, ma nei fatti non smentita)che lo condannò per 15 persone sopra quello che lui riusci' a dimostrare come oggetto di ordini superiori e di consuetudine di rappresaglia. Cio' è confermato anche qui.
La problematicità della conoscenza del rapporto 1:10 è stata discussa a proposito della possibilità dei gappisti di costituirsi(cosa esclusa a priori). Ma che tale eventualità potesse essere prevista, e prevista in quella misura, è abbastanza assodato e lo conferma non solo bentivegna, ma anche la Capponi.
Insomma grande è la confusione sotto il cielo. Comunque niente c’entra con Priebke il fatto se gli attentatori di Via Rasella prevedessero una rappresaglia : la sua responsabilità rimane tale.
E su questo non ci piove...Solo che i partigiani non ne sono estranei. Almeno coloro che hanno dato tale inutile, rovinoso, ordine personalmente mi paiono decisamente criticabili. Come criticherei in una guerra regolare un generale passato alla storia per aver lasciato perpetrare un massacro inutile in rapporto agli obiettivi prefissati. Poi: se fuoriesci dall'aberrante logica bellica, puoi facilmente intuire che il concetto di rappresaglia, di punizione collettiva è un concetto anticonservativo, quindi antropologicamente negante, universalmente ricnoscibile come negativo senza se e senza ma. Epperò le nazioni sono andate in guerra, han voluto farla. E la rappresaglia, attuata anche dagli inglesi e dai russi, era facilmente prevedibile in tutta l'europa bellica. Allora che fai? vai a vedere chi ha cominciato. Non c'è dubbio che abbia cominciato Hitler (anche se le imprese coloniali e i relativi massacri per il possesso dei continenti erano in atto da ben prima che Hitler nascesse) ma la Germania di Hilter faceva affari d'oro con la General Motors sia prima che durante la guerra, appoggiando quindi a livello internazionale la "liberazione" delle miniere tedesche blindate dai francesi con Versalilles. E anche dopo l'inizio della guerra la GM continuo' a lavorare con la germania, facendo affari per la fornitura di attrezzatura bellica. Vogliamo considerare le categorie relative all'esame storico del nazifascismo come aventi primato su queste cose?
Cloro poi in questo post, critica la storia monumentale, ma nel fare questo dice che nessuno è buono in una guerra e che nella guerra le categorie di “bene” e “male” non sono applicabili. Questo varrebbe anche per la Seconda Guerra Mondiale.
certo. E confermo.La guerra è un atto anticonservativo sempre. Che poi l'oppressione la renda contingentemente necessaria (scusa il gioco di parole) è segno che le cose vanno valutate alla luce di categorie più generali. Aristotele avrebbe detto: è segno che si debbano rendere piu' estesi i concetti con cui definire il significato. Proprio per l'irriducibilità ulteriore della nozione di guerra come "atto che contrasta la conservazione della specie" Ma ravvisarvi un segno morale assoluto, relativamente alla necessità di una valutazione storica sui fenomeni di oggi è un habitus dettato dall'ideologia dominante. Il nazismo oggi è solo una mitologia. Potente ma inesistente . Una categoria generale che ha una faccia talmente stravolta dall'oggi, che diventa confusionario e fuorviante usarla. Oggi, in Italia, la guerra la percepiamo come lontana. Atteggiamenti autoritari fatichiamo ad attribuirli al nostro sistema, eppure sono evidenti. Invece noi abbiamo bisogno del passo dell'oca, delle camice nere, della faccia del mascellone per rappresentare l'oppressione. Questo ci allontana dalla realtà sopratutto del complesso del pianeta, oggetto necessario dell'azione politica di oggi.
Dacia Valent poi cita un post di Kelebek, il quale criticando la vulgata storiografica che analizza nel periodo delle due guerre mondiali i cattivi fascisti e comunisti, si dimentica di analizzare i cattivi liberisti (americani e inglesi in particolare).
Anzi. Io ho letto il post di Miguel, che condivido, e mi è parso proprio che mettesse in luce la mistificazione mediatica del significato che i liberisti inglesi ed americani (in particolare) fossero falsamente considerabili gli "unici buoni" proprio per l'interpretazione monolitica del mito fondativo americano della esportazione della democrazia in epoca di nazismo...(e, riguardo al comunismo, di guerra fredda).
Inoltre vede la radice del male perpetrato nella seconda guerra mondiale nella competizione imperialistica che ha dato origine alla prima guerra mondiale
e confermo il mio accordo. Ma mi pare che Miguel andasse ancora indietro, alle origini del colonialismo, che a sua volta ha prodotto la prima guerra mondiale. E anche qui sono d'accordo con lui.
Cloro riprende il bandolo e dice che per lei la resistenza è stata una guerra civile in cui i partigiani stavano dalla parte giusta (la ribellione alla dittatura) ma dove hanno fatto anche azioni che possono essere criticate.
e sottoscrivo. Ma non è un'idea mia. Diciamo che condivido la tesi espressa in "C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati-Boringhieri, 1991" tesi peraltro antifascista, anche se lui è stato accusato, proprio per questa presa di posizione sulla guerra civile, di essere un emulo di Pisanò :-D.
Tuttavia bisogna liberarsi anche del mito fondativo della Resistenza e superare la necessità dell’antifascismo (traducibile più genericamente in antiautoritarismo).
Beh, ad una revisione storica mi pare sia giusto che segua un mutamento del vocabolario. Come ho cercato di spiegare nei miei post "cominciare a cambiare la politica significa cominciare a cambiare il vocabolario".
Attenzione però: io penso che ci si debba liberare da ogni mito fondativo. Non solo da quello della resistenza.Per esempio: un film come "ombre rosse" è un film generato dal riconoscimento di una cultura in un mito fondativo. Lo stesso libro "cuore" di E. Deamicis era permeato del "mito" del risorgimento. Il risultato storico fu la leva compatta e globale delle classi popolari nelle trincee senza scarpe nè artiglieria. La mia idea è che ogni mito fondativo abbia le sue basi in un'esigenza verticistica, che "crea" un sentimento di indiscutibilità divinizzante in una serie di significati posti culturalmente dall'alto. Questo è a mio avviso un dovere politico e culturale. Lo sguardo critico verso il passato recente e meno recente, è un ingrediente essenziale per ogni presa di coscienza degna di questo nome.
Dacia poi torna alla carica con un’altra domanda azzeccata : se legittimiamo l’attentato di Via Rasella come dobbiamo considerare la resistenza palestinese all’occupazione israeliana ? E in un post successivo conclude che non bisogna dimenticare la natura fortemente conflittuale ed anche violenta di tutte le lotte di liberazione. Ma il suo scopo è tutto politico : viva la Resistenza italiana, viva la Resistenza palestinese !
e sono d'accordo con lei.
L’ultimo atto di questo dibattito è di Cloro che presenta una serie di passi di Gandhi come antisemiti, quando in realtà non lo sono. E qui l’operazione diventa un po’ ambigua.
Allora: il post su Gandhi aveva un titolo e una presentazione evidentemente ironica. In realtà le affermazioni di Gandhi erano critiche che, se fatte da me o da qualcuno, oggi, da alcune menti brillanti di sinistra per Israele o gente così, sono bollate di antisemitismo.
Cloro, come molti anarchici, non vuole ragionare per partito preso.
hai colto nel segno
Tuttavia a volte sembra ammiccare (ad es. quando rivendica le riforme sociali fatte da Mussolini e nel caso stesso di Gandhi),
Non mi ricordo in questo momento dove e a proposito di che ho citato le riforme sociali di Mussolini.
altre sembra vedere nello Stato di Israele il male assoluto (quando è in ottima compagnia con altri Stati in primis quelli islamici) e qui in questi casi io la seguo a fatica.
su questo potrei anche darti ragione: ce l'ho con Israele, che comunque culturalmente da noi ha la nomea di "unico stato democratico del MO" con "l'esercito piu' morale del mondo". E' che il tam tam è forte e produce un certo pathos di disaccordo, proporzionale alla faccia come il culo con cui viene spacciata la stronzata mediatica in questione. Che i paesi islamici siano barbarici, per esempio, lo sappiamo, non lo mette in discussione nessuno. Comunque nel mio blog martello, e pesantemente, gli Stati Uniti, almeno altrettanto.
Dacia centra più il problema politico che sta a cuore a tutti e tuttavia l’ambiguità permane sia pure meno eclatante.
evabbe.
Andiamo per ordine:
1) Non bisogna avere miti : giusto. Ma bisogna fare il punto ed avere dei principi e delle situazioni storiche di riferimento di cui si può discutere, ma senza generare alcun effetto azzerante del tipo “in guerra sono tutti colpevoli”.
Perchè effetto azzerante? Non è forse vero? Lo diceva anche Dante ed è umanamente normale che sia così. Confermo: a parte gli eroi accertati e gli sconosciuti di cui nessun Pansa parla, penso che siano tutti colpevoli in guerra. E' uno stato limite dell'umano la guerra.
Poi: azzeramento dei significati "sommi": no. Se parliamo delle sostanze seconde, tratte da un bilancio complessivo della contingenza storica (resistenza=guerra contro gli oppressori), questo si puo' condividere tranquillamente. Avrò anche parlato delle riforme sociali di Mussolini, ma per me la resistenza avrebbe dovuto cominciare nel 22. Con gli aventinisti, poco piu' tardi, avrebbero dovuto esserci tutti gli italiani.
La nonviolenza può essere un ideale regolativo, ma in ogni situazione storica concreta bisogna valutare e spesso scegliere chi secondo noi ha ragione e chi torto, non tanto nei metodi seguiti durante il conflitto (che pure non sono indifferenti), ma nelle ragioni che li hanno portati al conflitto.
e fin qui concordo
Cloro qui asseconda un metodo che somiglia alla “critica critica” di Bruno Bauer (portata sino a metafore metafisiche da Frederick Nietzche) giustamente sbeffeggiata da Marx nella “Sacra Famiglia” e nell’”Ideologia tedesca” e che è propria della tradizione anarchica.
"giustamente" sbeffeggiata, bisogna vedere...
Tale “critica critica” rischia di portare alla confusione più completa, dal momento che trascura l'esigenza di dare una risposta storicamente consapevole ai problemi che storicamente si stagliano dinanzi a noi.
Storicamente consapevole non significa "ideologica".
2) Sull’attentato di Via Rasella qui ci sono trattazioni più dettagliate : i riferimenti a norme sulla rappresaglia sinora non ha avuto riscontro, né i siti che trattano quest’argomento citano le proprie fonti. A mio parere i partigiani erano nel giusto ( e Cloro questo non lo nega) e Priebke può finire i suoi giorni agli arresti domiciliari. Non c’è niente di scandaloso, né di inumano. Il problema è nel fatto che non si puniscano tutti. Ma non si risolve la questione non punendo nessuno.
La questione Priebke è suscettibile di valutazione umana. Si puo scegliere storicamente di considerarlo tuttora una belva. Oppure considerare la realtà del suo invecchiare. La punizione è nel primo caso ideologica, cioè risente di un'intransigenza del passato che viene fatta valere anche oggi per rinforzare significati. Io sono per la liberazione di ogni ideologia.
3) Kelebek ha certo ragione nel dire che l’origine della seconda guerra mondiale sta nella prima e nei conflitti interimperialistici che l’hanno preceduta.
e ci siamo.
Tuttavia nella seconda c’è stato un salto di qualità : la nascita del nazismo e uno Stato proveniente dalla Rivoluzione d’Ottobre. Rimuovere questo rende l’analisi più semplicistica ma non meno cieca.
Non si tratta di rimuovere. Ma di circoscrivere questi eventi ad un'interpretazione occidentale, facendo finta che essi riguardino tutto il pianeta. Lo si puo fare e lo si è fatto. E' servito? personalmente penso di no e, citando anch'io kelebek, dico che vi sono popoli per cui il loro passato non è la "seconda guerra mondiale" ma è semplicemente "un'altra" storia. Tu pensi veramente che la mitizzazione dell'antifascismo nostro spieghi tutto il resto degli eventi politici europei e planetari? Io no.
Certo, i vincitori non sono stati sottoposti a critica (o meglio sono stati criticati da una minoranza) e tuttavia ciò non implica che bisogna trascurare quello che hanno fatto gli altri. Il nazifascismo soprattutto va studiato e la sua esistenza ha messo e mette in questione i metodi di analisi dell’imperialismo stesso.
Non sono d'accordo. Le categorie storiche tratte dall'esame del nazifascismo non mettono in discussione i tratti caratteristici dell'imperialismo che ad esso preesisteva.
Ridurre il nazifascismo a variante mitizzata dell’imperialismo tout court non credo sia un’operazione utile:
Trattandosi di passato, una visione critica e dinamica del medesimo apre gli occhi sulla visione del presente.
esso ha una sua specificità che non va trascurata ed ha una negatività che travalica qualsiasi forma di “liberismo” : dal momento che ha consapevolmente teorizzato, pianificato e portato a termine un piano di sterminio di esseri umani sulla base di teorie deliranti a cui ha subordinato un intero popolo*, un’ industria di avanguardia ed una cultura che è stata per certi versi il lustro dell’Occidente.
Mah per dire che "certamente" esso travalica qualsiasi forma di liberismo, forse, bisognerebbe conoscere ancora di piu' la storia. Chi puo dire se George Washington o Ben Gurion non abbiano teorizzato lo sterminio di esseri umani? I documenti ci sono? Sono stati distrutti? Sono in una lingua sconosciuta ai piu'? Poi, voglio dire, è davvero la teorizzazione che conta? Sarebbe cambiato molto se Stalin avesse teorizzato la strage dei kulaki? E vogliamo dire che in termini generali egli davvero non l'abbia teorizzata?
Ovviamente la causa del nazifascismo è stata comunque l’imperialismo. E tuttavia nella seconda guerra mondiale si è realizzata alla fine la migliore alleanza possibile, quella tra socialismo reale e regimi capitalistici contro la peggiore variante possibile e cioè il nazifascismo.
evabe
E poiché anche il nazifascismo cianciava di criticare il capitalismo a suo modo,
appunto: cianciava. Ma nei fatti lo incarnava e lo spiegava e quanto bene (vediti la conferenza di E.Voccia sul "complotto dei potenti": lì lui spiega bene chi era e da dove veniva A. Hitler.
noi a sinistra dobbiamo riflettere sempre sul perché si critica il capitalismo e una critica dell’imperialismo che non tenga in dovuto conto la barbarie nazifascista rischia di essere un anticapitalismo di destra, reazionario.
"Tenerne in dovuto conto" non significa nè smettere di studiarlo nè sminuirlo significativamente come la piu eclatante forma di autoritarismo violento che l'europa abbia conosciuto. Ma non l'Ur-phaenomenon della violenza nella storia umana contemporanea. Il nazismo, con tutta la sua barbarie, non è il principio interpretativo dell'oggi. Anzi: viene ricompreso nelle categorie piu' ampie che permettono di interpretare il presente. Non è un'eccezione*. Non è il punto in cui comincia e finisce il male della contemporaneità. E' sicuramente l'emblema di una possibilità in cui l'umano puo' incorrere, ma di fatto
Ciò non implica che non si debba dare diritto di parola ai negazionisti come Irving (il reato di opinione in questo campo è una barbarie speculare), ma che l’analisi storiografica deve essere sempre seguita da una valutazione e da una scelta politica senza annacquare tutto nello scetticismo del “chi vuol esser fascio sia, nel passato non v’è certezza…”.
Irving non è negazionista. Al massimo revisionista. La scelta politica secondo me è a priori, dal punto di vista dei significati generali. Chi vuol esser fascio sia, certo, però si sappia ( e sia culturalmente diffuso il messaggio) che chi è fascio sceglie per un ordine sociale basato sull'oppressione violenta dei diritti individuali. Questo non cambia, sia che io consideri via rasella un errore strategico o un atto dovuto incondizionatamente.
Nè va superata la categoria di antifascismo che non è assimilabile al più generico antiautoritarismo in quanto assolve una funzione storicamente rilevante per il nostro paese e continua ad assolverla, dal momento che respinge le lusinghe di un'ideologia politica che ha dato risposte fortemente sbagliate alle istanze di partecipazione politica, di giustizia sociale, di coesistenza internazionale.
Su questo la mia distanza è abissale: la decisione deve essere lasciata all'individuo. come sempre e com'è giusto. L'antifascismo,non come sentimento individuale, ma come mito fondativo collettivo ha danneggiato le rivendicazioni operaie. Ha inquinato la storia dell'unità di classe necessaria nel dopoguerra, perchè a priori spaccava in due una classe sociale legata per via delle parentele e della contingenza, agli schieramenti della guerra civile. Se si fosse imperniata la storica avversione al fascismo nell'eredità culturale del dopoguerra come lotta antiautoritaria, con un'assimilazione sintetica (in senso hegeliano) di cio' che era successo in guerra,probabilmente le cse sarebbero andate diversamente. Invece il paradosso è stato proprio continuare a battere mediaticamente il chiodo dell'antifascismo e amnistiare tutti gli alti funzionari del potere fascista nel '47, per cui se alla base la popoazione italiana continuava ad essere ideologicamente spaccata, ai vertici i "fascisti" continuavano a deliberare.
Tale ideologia si nasconde ancora nell'alleanza tra imprese e strati operai in Padania, nel populismo mediatico di molti presunti leader, nel nostro rinnovato amore per la bandiera e per le imprese di interesse nazionale, negli europeismi geopolitici cari anche a parte della sinistra nostrana, nei multiculturalismi dell'ognuno a casuccia sua.
Caro mio, qui ci sarebbe da fare un discorso lungo, ma cosi tanto che non basterebbe un solo post.
4) Anche per la questione palestinese e mediorientale vale lo stesso : Gandhi aveva ragione allora a criticare il sionismo perché il sionismo non era divenuto realtà. Ma essere antisionisti oggi può essere al massimo un rammaricarsi, ma oggi la soluzione è quella di “due popoli, due stati” con la restituzione dei territori occupati nel 1967. Il diritto di Israele all’esistenza è dato dal fatto che Israele c’è, che ci sono bambini e giovani che non hanno le colpe dei padri. E la resistenza palestinese comprende l’Intifada, comprende anche il terrorismo dell’Olp, ma non il delirio di Hamas, né quello della Jihad o della galassia di Al Qaeda (qualsiasi cosa essa sia). E nel Medioriente noi siamo contro le guerre Usa, ma non siamo a favore della resistenza di al Qaeda o dei Talebani, perché le ragioni di costoro, il loro immaginario sociale è un’ aggravante e non un’ attenuante dei loro metodi di guerra. E tendere a dimenticare questo, ci fa correre il rischio dell’antimperialismo di destra, complice di soggetti che (forse necessitati, frustrati, privi di strumenti economici e culturali) non hanno però alcuna volontà di dialogo sincero. L’Islam, magari (e si spera) attraverso la tradizione socialista e comunista, deve incontrare la tradizione giuridica latina ed anglosassone e deve contaminarsi con essa. Perché è all’interno di questa tradizione che noi antimperialisti decliniamo le istanze di un giusto rapporto tra culture : come potremmo noi rispettare le altrui culture, se non fossimo abituati a rispettare le altre persone ? Se combattiamo le guerre Usa non è perché non vogliamo che i regimi oligarchici o monocratici del Medio Oriente cadano, non è perché consideriamo il fondamentalismo una legittima forma di organizzazione collettiva della società. E non saremo mai complici ambigui dei processi che possono rafforzare queste entità che hanno l’apparenza di soggetti, ma che risultano essere superfetazioni** conseguenti per lo più al fallimento del socialismo arabo e non saranno mai una risposta plausibile ai problemi di quella parte del mondo.
A questo punto lascio la palla a Dacia, che saprà rispondere a quest'ultima parte molto meglio di come potrei fare io.
ps sull'antifascismo, si legga( se si vuole) un mio post di qualche mese fa
*Su questo punto, G. Ash dice (parlando dell'olocausto come mito fondativo):quell’ affare che ha dato agli ebrei il riconoscimento ufficiale per le loro sofferenze in cambio dell’accettazione del “modus vivendi” standard della razza bianca occidentale. Non è l’orrore sofferto dalle vittime, cosi come non è l’omicidio, non è il terrore, che rende unico l’olocausto per Appelbaum. Cio’ che dev’essere costantemente spiegato e continuamente immaginato è l’orrore di “una sofisticata nazione europea che ha usato la miglior tecnologia disponibile” per commettere genocidio. Ma non si devono fare sforzi per immaginare che questa è l’ultima cosa che richiederebbe spiegazione. Una nazione avanzata che usi i mezzi tecnologici a sua disposizione per uccidere non risponde forse a criteri pienamente umani?
**superfetazioni????