
Prima che gli sparuti lettori quipresenti si immergano nella lettura del mio post, li invito a leggere questo bell'articolo su carmillaonline di Gaspare e Roberto De Caro, sulla funzione sociale (e politica) del Mito Fondativo.
In particolare esso si sofferma sulle "stronzate" mediaticamente spacciate per compattare la popolazione in "ranghi" ben definiti, permettendo così al potere insediato di controllarla in modo rigoroso, in particolare in periodi di difficile transizione.
Il mio post sulla libertà di pensiero e di opinione è stato duramente criticato. Si dice che sono fascista, che offendo coloro che, in certi valori credono, che nascondo un retroterra antisemita.
A parte chi, vigliaccamente, mi calunnia senza che io possa rispondere, perchè si tengono chiusi i commenti, vorrei rispondere a coloro che, piu' o meno civilmente, hanno posto le questioni da me.
Perchè la discussione di un significato dovrebbe "offendere" chi crede in quel significato? Se dinanzi ad un cattolico, mi proclamo atea, il cattolico è offeso dalla mia negazione di cio' in cui egli crede? Mediamente, la mia esperienza mi dice che egli reagisce con un sospiro di pena, perchè non ho ancora ricevuto la grazia di Dio.
Qualcuno (specialmente di genere maschile) mi annuncia che "pregherà per me". In nessun caso ho mai percepito "offesa" per la negazione espressa dal mio sentire e dalle mie parole, per cio' in cui il cattolico (non è che sto parlando del naturista libertario che si fa le canne a go-go, eh) crede.
Chi crede nella bontà di un significato come informante i suoi ideali o la sua vita ( o il suo sentire), non è toccato da alcun parere degli altri.
Diverso è se si toccano i parenti o i morti (dicendo al cattolico frasi tipo: eh, te sei cattolico perchè ti sei assorbito tutte le fregnacce di quella bigotta di tua madre), allora lì puo' subentrare un sentimento di ferita emotiva per l'interlocutore, che è legittimo metta in discussione il tuo messaggio.
Ora: in quel post non ho mai affermato cose negative sul momento storico della resistenza. Per me è stata "guerra civile": come dicevano i romani "di tutte le guerre la piu' ingiusta e la piu' crudele".
Sulla resistenza, la penso come Pavone: che sia stata una guerra civile, in cui si sono intrecciati gli aspetti della guerra per il territorio, della guerra per la riappropriazone dei diritti e la guerra di classe.
Ciò, fermo restando che il fascismo si configurava come un regime oppressivo, autoritario, classista, colonialista e razzista, in cui, doverosamente, la ribellione era giusta: ben giustificata nel suo orizzonte ampio di scelta etica sulla parte dove stare. Ciononostante mi arrogo il diritto di giudicare questa o quell'azione bellica, sia essa via Rasella o l'impresa albanese da parte dell'esercito regolare, sotto il profilo dell'opportunità tattica o strategica, alla luce dello stare "a posteriori", nel presente.
E spero di farlo senza offendere nessuno.
Su quello che sarei oggi, per i commentatori piu' o meno vigliacchi, che mi affibbiano quest'epiteto "fascista", semplicemente rispondo che sono ridicoli. Perchè non ho alcuna stima di Mussolini, perchè non vado in giro col fez a fare il saluto romano e perchè le mie posizioni di oggi, tranquillamente leggibili su questo stesso blog, dicono chiaramente quali siano i miei ideali.
Che poi invochi un "superamento" di determinate categorie, che per me non hanno alcun valore di conoscenza (anzi, spesso sono fondative di ignoranza) ma che appartengono a schemi con cui era giusto affrontare il passato, questo è un altro discorso.
Piuttosto che chiamare una tendenza politica "antifascismo", per esempio, perchè non chiamarla "antiautoritarismo", confinando così, giustamente, nel passato dove deve stare, il regime di Mussolini?
Antifascismo, poi, puo' essere tranquillamente ricondotto nella categoria logica piu' ampia di "lotta all'oppressione classista" , antirazzismo, antimilitarismo e antinazionalismo.
Se siete arrivati a leggere fin qui e siete più o meno d'accordo, allora chiedetevi per quale ragione 'sti discorsi fanno incazzare "in primis" i sionisti, i quali sostengono ideologicamente una nazione basata sulla differenza genetico-religiosa, imbevuta di folle nazionalismo e "proud friends" di un piccolo stato in guerra da quand'è nato, che però ha messo insieme una tale ricchezza da possedere un arsenale atomico tra i primi del pianeta.
La risposta l'ha data il mio ospite, Chaim: sei una di quegli antimperialisti imbecilli che credono di poter sortire l'effetto politico-ideologico della delegittimazione dello Stato d'Israele - premessa alla sua liquidazione fisica, nei vostri voti - attraverso la negazione o la riduzione del significato della Shoah.
Il senso è chiaro. Se discuti il mito fondativo della resistenza, alla fine andrai a discutere anche il mito fondativo della shoah.
Perchè? Ci risponde ancora Chaim:
in nome della libertà di pensiero e di espressione - beninteso - perché tutta l'operazione richiede naturalmente che si getti merda anche sulla Resistenza italiana: serve a rompere lo schieramento antifascista, ad abbattere - nella vostra testolina - lo steccato che divide i nemici di Israele "di sinistra" da quelli di destra, per potervi così unire tutti nella santa caccia allo spettro sionista.
Come si può notare, il mito fondativo "accredita" persone. L'adesione al "mito" della resistenza diviene credenziale per l'adesione al "mito" della shoah, laddove per mito, non intendo che è una mitologia e non c'è mai stata (è meglio precisarlo perchè si attaccano a tutto) ma lo intendo nello stesso senso in cui lo crede il saggista israeliano (ora non piu') Gabriel Ash . L'adesione ad un comune mito fondativo, dunque, dà la sensazione "di appartenere alla stessa tribu'" . Conferisce un senso comune di appartenenza. E questo dà sicurezza e mantiene l'ordine. In piu', poichè trattasi di "adesione emotiva", essa ha gli stessi caratteri della religiosità: aborrisce il dubbio e il senso critico. Così come dimostrano gli ospiti sionisti, l'aggettivo fascista è sempre in agguato nei confronti di chi non "dice", afferma, ma solo "problematizza" cioè esprime una messa in discussione.
Il mito fondativo è antianarchico per eccellenza, perchè pone una meridiana di significato esterna e richiede un'adesione soggettiva a prescindere dall'esperienza (l'icona è il gruppo di "figli di deportati partiti per schiaffeggiare il 90enne Faurisson, perchè "è giusto così").
Esso è intrinsecamente antilibertario e autoritario, è apriori senza essere universale e ignora le esperienze dei soggetti sociali. Il mito fondativo in piu', libera dall'obbligo della coerenza, perchè essa è un fatto razionale, l'adesione al mito è invece, come già detto, di tipo religioso (l'icona di questo è il segretario di un partito squisitamente neofascista, quindi erede culturale delle leggi razziali del 38, che va come uno zerbino a prendere indicazioni a Tel Aviv).
Sono anarchica: non ho un dio, non ho padroni, non ho (e non voglio) miti. Sono contraria all'oppressione in qualunque tempo, e quella che mi riguarda di piu' è quella del presente, perchè è oggi che sono viva.
Non posso mettermi nei panni di un partigiano o di un soldato della seconda guerra mondiale. Sono un ente istintivo e pensante che ha a che fare con l'oggi, finchè ci sarò.
E vivo in una società che di miti si alimenta: dio, la morale, l'ordine pubblico, la legalità, l'antifascismo, l'antirevisionismo, il mercato, la novità, il denaro, le merci ecc...
Posso dire che nutro disprezzo istintivo per ogni forma di vigliaccheria, sia essa contro Faurisson, o contro un ragazzo discriminato per il colore della sua pelle? Non ci ho bisogno di chiamare "fascista" un atto di vigliaccheria.Esso si auto connota come tale.
Cio' anche se nel 44 i fascisti che ammazzarono Dante di Nanni erano un centinaio e di questa vigliaccheria hanno costituito un paradigma.
Oggi i paradigmi sono però anche altri. Li vedo, li disprezzo e li critico. Finchè mi è data la vita e la libertà per farlo.