mercoledì, aprile 11, 2007

oligarchia parlamentare/ democrazia totalitaria

Nell'analisi di Carl Schmitt sulle categorie del "politico" , egli afferma che l'essenza della politica, (cioè cio' che ci permette di pensare alla politica in quanto tale,potremmo dire "nozioni" che riguardano la prassi del governo di uno stato) è la possibilità concreta di qualificare il "nemico"nella dimensione "pubblica" di una collettività.
Per "nemico" egli intende ciò che, in modo cooriginario, ci afferma nella nostra identità e nel nostro gruppo di "amici"(familiari, tribu',compagni di partito,di fede religiosa, ecc..).
Schmitt insiste sul fatto che questa definizione di essenza abbia un nocciolo molto concreto e pragmatico ( e non simbolico), che ha origine antropologica in un dominio che non è nè "del pensiero" nè dell'azione, ma nella peculiarità umana di rapportarsi all'altro come a se stesso, in quanto umano.

Dice Schmitt, contraddicendo Clausewitz ("la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi"), che la politica giace nella possibilità della guerra, che non necessariamente si fa, ma che è implicita in questa divisione interna alla nostra "visione ambientale pubblica" (per coniare un'espressione para-heideggeriana che tematizza i significati specifici del mondo-ambiente) per cui il nostro nemico personale si deve identificare con il nemico contro cui "la mia gente "(gli amici) e l'autorità che li rappresenta (in nome di un dio o in senso laico, a seconda delle culture) può andare a fare la guerra in ogni momento.

Quindi non è, come disse clausewitz la guerra prosecuzione della politica con altri mezzi, ma la politica che è qualcosa che, esistendo, postula a-priori la possibilità della guerra .

Nell'ottica di Schmitt dunque la guerra è fondativa della politica.
Il "cittadino" della polis è tale perchè appartiene alla polis ed è amico degli altri cittadini della polis che potrebbero (non necessariamente ma potenzialmente) fare o ricevere guerra dal "nemico". Questo pensando che gli umani fossero, in ottica laica, cittadini (come potevano esserlo nel contesto della nazione germanica nazi, esperienza che egli condivise).

L'analisi di Schmitt, però, appare significativa anche in questo nostro frangente storico italiano, dove c'è la democrazia .

Facciamo finta che la "democrazia" vigente abbia un senso e che le elezioni pongano al potere della gente che rappresenta (nel bene e nel male) i 60 milioni di abitanti che comprende l'Italia (cioè presupponiamo buona fede nello svolgimento regolare delle elezioni).
Prodi, d'alema, Fassino, mastella ecc...,nel nostro caso, hanno stabilito che gli "amici" sono gli occidentali (USA, europa) e il "nemico" il fondamentalismo.

La tragedia delle torri gemelle, bin laden, i kamikaze, l'obbligo del burka, l'infibulazione ecc...sono non solo simboli, ma eventi e pratiche qualificati, secondo la definizione dell'essenza della politica data da carl Schmitt, come appartenenti al "nemico" Quello per cui, potenzialmente ( e non solo) la nostra politica (italiana) fa la guerra.
In effetti che oggi il nemico sia l'estremista "islamico" è contingente. Durante la guerra fredda il nemico era il "comunista", estremista in se e per se, indipendentemente se fosse seguace di berlinguer o il brigatista. Estremismo è l'appartenenza ad un credo politico avente dei principi di radicalità, per esempio il rifiuto marxiano della proprietà privata (la proprietà è frutto di un furto ai danni di chi lavora. Poi possiamo discutere se intendesse la proprietà "in se" o l'accumulo della medesima) .


Oggi la cultura occidentale respinge con orrore questo tipo di "estremismo". Non solo: respinge anche la contestazione sui principi, come estremismo. Ricordo in tv una conduttrice di un programma ameno (la folliero) che facendosi latrice di un messaggio d'amore tra una ragazza e un militare (italiano) che doveva partire x l'afghanistan, ebbe paura di pronunciare la parola guerra e dopo aver mugolato un po', le uscì "missione".
Oggi noi siamo "moderatamente" civili e questa moderazione possiamo riassumerla come il dovere morale-sociale del politically correct, imposto dai media nel linguaggio del mondo ambiente "pubblico" a tutti i livelli. Noi, dunque, così moderati e civili (e cristiani, e razzisti e bianchi) che godiamo del bene della democrazia, ci aggreghiamo alle "forze del bene" che per "farci essere quello che siamo" (in termini aristotelici "ci danno sostanza in senso filosofico") ci obbligano a partecipare militarmente (ed economicamente) alle loro guerre. Una delle armi di ricatto è la moneta. L'altro sono le merci. E quel minimo di coesione di cui hanno bisogno la ottengono attraverso l'identificazione di un nemico. Di qualcuno che vuole la morte dei nostri amici. Quindi la nostra.
Siamo una democrazia con un nemico.
Il nemico è colui contro il quale, in un modo o nell'altro, anche "dolorosamente" (come appare in molti siti di guerrafondai cattolici) si giustifica la guerra, il significato della quale, oggi, è mistificato verbalmente con espressioni quali esportazione di democrazia, missione di pace, sostegno alle popolazioni martoriate ecc...
Queste mistificazioni verbali nascondono l'incapacità, da parte del potere di confessare la contraddizione. La "positività" delle costituzioni andrebbe a puttane nel suo significato pubblico. Rivelamdo che la democrazia spacciata non è democrazia.

Democrazia, infatti, significherebbe "potere al popolo", al "demos" e presupporrebbe, anche stando all'interno delle categorie del politico di schmitt, che "il nemico" venisse identificato con colui che ostacola gli interessi del popolo.
Ora: il popolo italiano non ha nessun interesse, sotto nessun punto di vista, sovvenzionando con i propri versamenti fiscali le guerre e gli stanziamenti di truppe in giro per il mondo.
Sono convinta che se la nostra fosse un democrazia (ma proprio un pelo) meno imperfetta e vi fosse stata una corretta e puntuale informazione mediatica sulle cifre e sulle destinazioni delle medesime da parte del potere pubblico, anche a parità di "stronzate" mediatiche che quotidianamente vengono spacciate, almeno il 70% del "popolo" si pronuncerebbe per una diversa "politica", nel senso schmittiano: una diversa "definizione" del nemico.

Ragionando su che cosa sia la democrazia nel senso comune, invece, e pensando che essa puo essere intesa nei suoi tratti essenziali in senso illuministico come Elezioni, Rappresentanti a cui si affidano i poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario e, come si usa in "occidente" l'esercito va all'esecutivo) separatamente, senza entrare nel merito della concretezza del territorio che si vuole "contagiare" come direbbe il Sartori, posso capire che quanto si va ad "esportare" ("gentilmente" e nel senso in cui lo intende, per esempio, Sartori) è soltanto uno schema, una prassi "vuota" di contenuti: elezioni, parlamento, distribuzione dei poteri. Sempre seguendo Sartori, questo schema sarebbe, proprio perchè vuoto, universale (quindi, come un finto greco, intende perfetto, buono, giusto ecc..)

Benedetta da Kant e santificata dalla costituzione della resistenza, è così che noi italiani abbiamo da essere contenti di, come direbbe Gaber, quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia. C'è di peggio al mondo. Che volete?

Hannah Arendt quando parla di totalitarismo afferma che il suo strumento peculiare è la paura. Che costituisce il tessuto connettivo della scelta del lessico di interazione tra il potere e i sottoposti. Che, nella prassi è difeso, all'interno del territorio, con la polizia e tutte le immaginabili forme di repressione ecc...
Ella precisa che non ha alcun bisogno di abolire costituzioni. Pensando al nazismo, nota come in effetti la costituzione di Weimar, la più avanzata ed "illuministicamente democratica"mai elaborata,non sia stata mai abolita.



Quando i rivoluzionari francesi fecero fare alla Francia il "passo" costituzionale nel 91, posero la proprietà privata come pietra miliare dei diritti dell'uomo e ribadirono questo principio in diversi articoli.
La democrazia, però, presuppone il territorio suddiviso da confini "nazionali",con, all'interno e all'esterno, gradi diversi di ricchezza o povertà (dell'acquadel suolo, del sottosuolo) su cui gli illuministi non si pronunciavano, a nessun titolo, in linea di principio. Come invece si sono pronunciati, in modo netto, chiaro, unanime, sulla inviolabilità della proprieta' privata.

Ora: una serie di nazioni in certi continenti che chiamiamo "occidente" sta esportando una serie di "valori" universalissimi (quindi filosoficamente fondati) perchè "vuoti"(vuoti per esempio, di una dichiarazione di principio sulla base del diritto di godere del pianeta, il diritto alla "felicità" che imbratta la costituzione americana), come il diritto alle elezioni e il parlamentarismo, con le bombe.
Come ho già espresso il leitmotiv è l'estremismo islamico, come negli anni della guerra fredda era "il comunismo". Contro questi "nemici" l'opinione pubblica viene mobilitata mediaticamente, per "toccarle il cuore" creando angosce, paure (che hanno un valore psicologico e politico). E' sufficiente sentire come in questi giorni vengono alimentati signficati come Terrorismo islamista (piu' terribile foneticamente che "islamico") alqaeda ha minacciato l'italia, tante, troppe, moschee e organizzazioni islamiste in italia, alto rischio di attentati.



Come molti amici sanno, non sono mai stata marxista.
Eppure amo un libro marxista che è "l'imperialismo fase suprema del capitalismo" di V. Lenin.
Qui, con fenomenologia marxista (intendo come tale l'analisi dialogica che presuppone l' economia in senso ampio come definizione dell' Archè, cioè del fondamento della realtà umana, materialisticamente parlando) egli dimostra, prendendo esempi di nazioni del XIX e degli inizi del XX secolo, che il potere economico ha acquisito piano piano preminenza sul potere politico. Si va dagli imposti modi capitalistici di produzione e di lavoro, di spaccio delle merci, di finanza e politica monetaria, mostrando che le leggi hanno progressivamente regolato la società a misura di questi enti collettivi e non il contrario. La struttura economica è il potere-guida del capitalismo, che si organizza in monopoli, che concentrano le ricchezze economiche (sfruttamento del territorio e delle materie prime) in un numero sempre decrescente di potentati ristretti. Questi potentati per conservare un sostanziale accordo evitano di toccare i macrointeressi, ma si pongono in dialettica per i (mi si permetta un'espressione medievale) vassallati minori (le colonie piccole, di confine, di apparente scarsa importanza). Quelle colonie meno nevralgiche che decidono però tra il predominio di un potentato minore rispetto ad un altro di pari grado.

Alla fine, nella visione di Lenin, le nazioni ed i nazionalismi, continuano a sussistere perchè servono al simulacro di "democrazia parlamentare" per reclutare braccia gratis per la guerra (oggi questo problema non c'è piu' perchè gli eserciti sono professionisti. Questo fatto rende il potere del "demos" ancora più evanescente, poichè ha perso, ai giorni nostri, diciamo, quel minimo potere di contrattazione.) ma i giochi li decidono i capitali sovranazionali che governano la politica delle nazioni, i cui governanti si asservono ai potentati economici per essere a loro volta aggregati alle classi privilegiate, anche se con minor potere decisionale e minor accumulo di proprietà.


Questo schema descritto da Lenin mi sembra corrisponda all'attuale politica italiana. Un paese capitalistico. Non una democrazia, se non nel suffragio (perchè le decisioni di Prodi sono condizionate da Goldman Sachs, At&T, corporations e companies varie in mano sempre alla stessa gente, che riescono a gestire l'acqua potabile in Bolivia, in India e in un paesino del Lazio) ma un'oligarchia parlamentare o una democrazia totalitaria, nel senso del totalitarismo alla Arendt, dove la paura dell' estremismo (islamico o comunista) cela la paura con cui si ricattano i ceti medio-piccoli (benestanti, di fronte al grosso dell umanità) di poter perdere la loro condizione di , direbbe papà Josip, di "borghesi privilegiati", complici di una spartizione delle ricchezze del pianeta assolutamente iniqua e incompatibile con il diritto alla felicità che ha pretesa universale e che imbratta il testo della costituzione americana.



ps. Vi sono mancata? Bene. Mò beccatevi, come direbbe Italo, sto cataplasma*.
per esprimere contentezza del senso di mancanza che vi ho suscitato e come premio per aver letto fin qui, vi regalo un rap di lotta, del grande repparo e poeta di lotta e di pensiero critico Frankie Hi nrg. Beccatevi video e song.
*vabbe fa molto piu' cagare dei suoi, ovvio ;-)

Si legga qui un post del prof. A.Caracciolo di approfondimento

8 commenti:

faustpatrone ha detto...

molto interessante, specialmente per chi ama la filosofia.

qualcuno più cinico e pragmatico potrebbe dire che ogni teoria è solo un insieme di belle parole e giustificazioni contorte di un solo fatto: l'atto di volontà che s realizza fa il diritto. punto.

il potere si fonda nel momento in cui è e decide arbitrariamente confini e natura del diritto e di tutte le altre categorie.

io credo che sia sempre stato così, che fu sempre così e che sempre così sarà, poiché in fin dei conti chi può imporre la sua volontà sugli altri acquisisce anche gli strumenti per modellare a suo capriccio anche la morale, l'etica, la prassi e tutto il resto.

del resto anche le leggi dell'economia pur così apparentemente solide possono essere sovvertite da un atto di volontà.

che cos'è la proprietà se non la possibilità concreta di disporre di un bene e di impedire a terzi di sottrarcelo?

altro che diritto scritto nel "cielo stellato (sopra di noi) e la legge morale (in noi)..." tutte fregnaccce.

proviamo a vedere quanto vale il diritto alla vita, o alla proprietà, nel Darfur o in Iraq. vediamo se qualche nume scende dal cielo a restituire ai diseredati quello che loro teoricamente spetterebbe come diritto inviolabile.

solo le leggi fisiche sono ineluttabili. un diamante è e resta sempre un diamante, e si comprterà sempre di conseguenza al variare dei parametri fisici. non accadrà mai che un diamante sia nero in Cina o rosso in Italia.
può cambiare il suo valore, ma non la sua natura fisica.


provate ad applicare questa legge a un diritto teorico: possiamo affermare che gli uomini hanno gli stessi diritti ovunque? e la giustizia? e le forme di governo. la "democrazia" è la stessa cosa ovunque, a Cuba o negli Stati Uniti o in Siria? e nel tempo è sempre stata la stessa cosa?

più passa il tempo più io comincio a pensarla come quel qualcuno: la volontà e il potere di porla in essere alla radice di tutto.

fortuna che è arrivato Nietzsche a spiegarcelo.

cordialmente.

faustpatrone ha detto...

ovviamente il limite della volontà è proprio la gabbia delle leggi fisiche. nude e crude.

neppure il più strenuo atto di volontà può convertire un diamante in pane.

Anonimo ha detto...

bel post Cloro...
la paura regna sempre sovrana...
saluti libertari
orso

Anonimo ha detto...

Però.
Bentornata Cloro,
Carlo

Cloroalclero ha detto...

x Furio: Indubbiamente la volontà di potenza è il motore di chi ottiene il potere ( e anche di quanti socombono nel provarci ad appropriarsene) tuttavia la volontà di potenza è costitutiva di qualunque individuo. Per cui sarebbe auspicabile un mondo dove la marxiana (e sovversiva) presa di coscienza possa venire a coincidere con il consiglio nietzscheano "diventa" te stesso. L'idea (e la speranza) è che la politica possa tradursi in un sistema comunicativo tra liberi e padroni solo di se stessi. Hai ragione nel dire che è nella costrizione fisica il vero unico limite. Il resto sta nel dominio del possibile. E il possibile potrebbe diventare reale se i moltissimi lo volessero. Oggi mi accontenterei se si cominciasse ad immaginarlo.

Cloroalclero ha detto...

x Orso & Carlo: grazie del bentornata. Piu inkazz che mai ;-)

Anonimo ha detto...

interessante! sarebbe questo prodotto che stiamo esportando con tanta solerzia a quegli ingrati di musulmani ?
ciao

Barbara Tampieri ha detto...

Grazie per Frankie Hi nrg!