domenica, giugno 24, 2007

Cristianesimo in Medicina e giudici.



Una cosa che non sapevo è che il medico che ha staccato la spina per Piergiorgio Welby,Mario Riccio, dopo essere stato prosciolto da ogni addebito, è stato successivamente rinviato a giudizio da un magistrato di evidente ispirazione cristiana .

Il concetto che egli vuole far passare giuridicamente è che esista un diritto alla vita, alla sua sacralità e alla sua indisponibilità.

Ora: la materia del contendere è la seguente.
Facciamo che io soffra di cefalea a grappolo, vada a Niguarda e mi sottoponga ad un ciclo di cure prendendo dei farmaci. Li prendo per un po’ poi magari essi non mi danno i risultati sperati, oppure mi disturbano gli effetti collaterali, quindi decido di interrompere.

Secondo la logica del magistrato cristiano che ha rinviato a giudizio Mario Riccio, faccio sì un atto contro la sacralità della vita, ma essendo una decisione messa in atto da me, non commetto alcun reato, sono nel quadro dei miei diritti civili di sospendere la cura.

Nel caso Di Welby, egli era stato attaccato (volontariamente) al respiratore in seguito alla paralisi dei muscoli respiratori.
Successivamente, aveva perso pure la funzionalità delle braccia.
Quindi la decisione di interrompere le cure non poteva prenderla da solo. Aveva bisogno del braccio di chi gli staccasse materialmente la spina.

Allora: ammettiamo (per pura ipotesi) che il concetto di “sacralità della vita” abbia senso a livello giuridico. In tal caso le alternative sarebbero due:

1)La applichi anche a me che intendo smettere coi farmaci per la cefalea a grappolo, perché vengo meno ad un concetto di “vita sacra”, quindi: “curata” che viene dichiarato giuridicamente superiore al mero diritto di scelta del cittadino, indipendentemente che sia immobilizzato (e cosciente) o no, dunque lo condanni sempre, condanni Mario Riccio, ma mi sanzioni perchè interrompo le cure datemi dai medici di Niguarda.

2)Non lo applichi a me per le pillole, ma se poi lo applichi a Welby che ha scelto di interrompere le cure e da solo non ce la fa, se lui viene obbligato a proseguire perché nessuno lo aiuta, allora viene operata una discriminazione tra chi puo’ autonomamente far valere il suo diritto individuale di interrompere le cure e ha la possibilità fisica di farlo e chi , ugualmente, vorrebbe interrompere le cure, ma non ha la possibilità fisica di farlo e necessita di terze persone.


In altri termini: il diritto individuale di non curarsi è riconosciuto solo a chi è nella possibilità fisica di metterlo in pratica e non a chi "non può".
In questo ultimo caso, infatti, il primato giuridico spetterebbe a questo non ben precisato principio di "sacralità della vita",
proprio in virtu' dell'impossibilità fisica del cittadino.

Ah, per la cronaca, questo magistrato così pio e competente si chiama Renato Laviola.

Da una mail di Galatea, QUI un documento da far girare

6 commenti:

meinong ha detto...

La differenza è questa :
se lo faccio da me, la mia volontà è manifesta : anche se qualcun altro mi ha plagiato io ho ratificato con l'atto una volontà altrui e l'ho fatta mia.
Se lo fa qualcun altro, la mia volontà, sia pure documentata da dichiarazione scritta (da chi ? magari l'ho solo firmata...)può essere stata influenzata.
Chi può dire quali siano gli interessi in gioco attorno alla nostra vita ?
Prendi Kevorkian che lo fa per mestiere o per vocazione...che consulenza può darmi ?
o i miei parenti che sono stanchi di seguirmi...
Naturalmente non ammetto neanche il dogmatismo dei cattolici (che sembrano non guardare i casi concreti...), ma il problema è che non si parla di situazioni concrete, ma di leggi e di diritti e lì la situazione si fa astratta...ed escono fuori i principi...


Pensatoio

Cloroalclero ha detto...

x Italo: giusto. Ma allora non conviene neppure cominciare a curarsi, se poi la decisione di interrompere le cure risulta cosi complessa legalmente e magari non piu' realizzabile. In questo quadro la cura diventa una catena da cui non potersi magari piu' liberare.
ciao

Cloroalclero ha detto...

...e comunque, che la legge dia una risposta che soddisfi la complessità del caso, o meno, la discriminazione rimane, fattualmente.

GG ha detto...

ciao! ho letto il tuo post e l'ho trovato molto interessante, anche perchè sono al terzo anno della triennale di Sciene Giuridiche e mi sto laureando con una tesi sull'eutanasia, quindi ho molto materiale per le mani e mi fa sempre piacere leggere qualcosa di intelligente in proposito! :)

se ti va passa sul mio blog:

http://anggeldust.blogspot.com

a presto!

GG

meinong ha detto...

Se curarsi vuol dire mettersi una macchina, beh, credo che il caso di Welby sia un eccezione.
La maggior parte delle ambulanze non ha defibrillatori perciò figuriamoci...
Il problema è che fintanto che uno è vivo può decidere di morire, ma quando è morto col cazzo che può decidere di vivere...
Mio padre dice "Finirà che non si muore più ed io sarò morto come un fesso..."

Pensatoio

Cloroalclero ha detto...

x GG. Grazie delle parole. Ho dato un'occhiata al tuo blog ma mi riproetto di vederlo meglio.
x Italo:Se curarsi vuol dire mettersi una macchina, beh, credo che il caso di Welby sia un eccezione.
La maggior parte delle ambulanze non ha defibrillatori perciò figuriamoci...

Peggio ancora. Le condizioni e la disponibilità di macchine la mette il potere medico a sua discrezione, noi dobbiamo solo dire un sì o un no irrimediabile.
X quello che dice tuo papà: mah. Magari no. Pensa al platonico mito di Er. Sai mai che...