mercoledì, gennaio 31, 2007

A Furia di nasconderti, non ti cercherà più nessuno…

Questo è il titolo di una piccola previsione astrologica che OGGI ho letto di sfuggita, su un Topolino (il giornalino) di qualche anno fa, riguardo al mio segno.
Cio’ mi ha spinto a riflettere, perché ultimamente, vivo, e godo, di una condizione solitaria, che apprezzo molto..(non vi sto a spiegare il perché e il percome, in quanto non inficiano la materia di questo post.)
La filosofia ha avuto diverse definizioni. Dalla ricerca del principio (archè) che connota la sua nascita, si è passati gradualmente ad una sempre maggiore attenzione per le problematiche umane, che, via via facendosi sempre più particolari con gli ultimi presocratici, si è definita con Socrate come ricerca di “se stessi” e come meditazione entro cui indirizzare questa ricerca.
Il reperimento, attraverso una trascendenza, con Platone, o con modalità di comunicazione più individuali e, nello stesso tempo, universali, con Aristotele, come ricerca di chi siamo, in prima persone,ha dato origine ad un corso del pensiero, che, pur con tutte le varianti (l’entrata in gioco della fede monoteista alle sacre scritture, il rapporto con la ragione e la possibilità umana di conoscere cose “metafisiche”) ha mantenuto in sostanza il senso di una antropologia filosofica.

Cioè: fermo restando l’aspetto epocale della speculazione, la rivoluzione scientifica, piuttosto che i movimenti di massa, la ricerca di se stessi è stata la tematica fondante dei pensieri da Platone a Kant (scusate il salto…ma do per scontato Agostino, Spinosa, Hume ecc…) a Marx. E non solo.
Per esempio, quando era pur di moda studiare il marxismo, si poneva scarsa attenzione a quell’aspetto del marxismo (io non sono mai stata marxista, ma come tutti i filosofi, l’ho studiato) che ritengo fondamentale per avviare una critica alle coordinate temporali dell’individuo (la cui opera massima è “fenomenologia della coscienza interna del tempo” di Husserl, una tappa che non può mancare in un percorso filosofico individuale..ovvio, se si decide di intraprenderlo…), che risponde al nome di “feticismo delle merci” (primo libro del Capitale).

Il feticismo delle merci è un “vizio” dell’uomo alienato. Non un “peccato” contro l’autorità di un dio, ma una filosofia sbagliata che fa perdere la propria essenza. Vale a dire : nel rapporto “alienato” con la merce, l’uomo non ha più essenza. L’uomo non riesce neanche più a pensare a se stesso come “umano”.
Ciò è tipico degli sfruttati, che vivono una condizione sub umana, di semplice soddisfacimento dei propri bisogni fisiologici, adeguando, come gli animali, il proprio “sensus vitae” (mi piace unire a Karl Marx una locuzione tipica del Neotomismo) , alle esigenze della mera sopravvivenza: mangiare, dormire sotto un tetto Qualsiasi , coprirsi.
Ma è tipico anche degli sfruttatori, che si beano delle merci che sono inaccessibili per i più, ma che trasformano gli sfruttatori in un “gruppo migliore”, con le qualità per sfruttare gli altri.
Ciò fa aumentare l’autostima e la convinzione per quello che si fa, identificando se stessi come “chi” riesce, sfruttando la debolezza altrui, ad “essere” perché più forte. E la determinazione “più forte” diventa, come direbbe Hegel, universale in quanto confermata dalla Storia, rispondente alle esigenze dialettiche dell’Assoluto che si esplica.

Alla fine , gli sfruttatori, che per Hegel sono necessarii, per Marx sono a-filosofici, quindi a-umani, perché essi sanno di esistere perché hanno il rolex, piuttosto che il panfilo, piuttosto che la tenuta in Toscana. Essi appoggiano a quel “destino” la conoscenza di se stessi, ma anche la “affermazione” mondana (direbbe Heidegger) di quello che percepiscono di essere.
Mentre Hegel ne apprezza il valore, perché confluiscono nel percorso della necessità dell'Assoluto nella storia, Marx, facendo un discorso più “tradizionale” , nonostante sia stato reso famoso anche per la filosofia “del rovesciamento”, dice, con semplicità, che essi sfuggono alla loro essenza, che non riescono (e probabilmente non riusciranno mai) a pensarsi in quanto al loro senso “umano”, ma che, al pari degli animali, essi filosofano sulla base di una mera “lotta per la sopravvivenza”, definita sulla base di cio’ che essi riescono a pensare di se stessi,ormai storicamente necessitati, nel la percezione del loro essere, dal feticismo. Cioè da quel sentimento di “onore”*(cioè di definizione della valore di se stessi) , possibile solo pensandosi “accanto” agli “oggetti” (merci) che “manifestano” la propria superiorità di branco.
Anche in questo caso, come nei confronti dello sfruttato, si ha la negazione dell’autocoscienza. Si ha l’autopercezione animale del proprio essere “capobranco”, che però, e parlo ora solo dal mio punto di vista, dovrebbe almeno essere in grado di garantire la conservazione della specie.

ps : non è vero che l'onore è sintomo di una particolarità che si ripiega su se stessa. E' , invece, un senso, con la possibilità di essere condiviso, che spinge, per esempio, ad essere onesti quando si potrebbe non esserlo.
E' il contenuto della significazione che risulta relativo. Ma i contenuti della significazione umana, quando inficiata dal potere, può essere così relativa da far dire a uno come (che zeus lo benedica con tutto il benedicibile per un uomo) Nietzsche, che addirittura non esiste.

ppss non so se sono stata chiara, ma 1)sto lavorando come una schiava ( e mi fa schifo) 2) sono fuori come un balcone, non perchè faccia uso di "marjuana e pasticche" ma perchè soffro di sindrome premestruale, che mi prende i gangli più imboscai del cervello e immaginate come possa stare una filosofa in tali condizioni necessitanti...
(continua. Forse.)

1 commento:

Anonimo ha detto...

ma si...sei stata abbastanza chiara...purtroppo ho qualche limitazione personale con alcuni filosofi da te citati ma...ne approfitterò per curiosarli...eh eh...stammi bene...ciaoo