Bruce Lee: il mito di uno sconfitto
Stasera ho avuto modo di vedere uno dei pochi film fruibili in prima serata in tv: “vita di Bruce Lee” che ne ricalca,grosso modo, la storia vera.
Il giovanissimo cinese torna in California (dove era nato, ma che aveva abbandonato piccolissimo per seguire il padre, celebre attore di Hong-Kong ,all’epoca del ponte aereo che Kennedy aveva organizzato su berlino)
Un’america razzista, uniformata. In cui gli immigrati cinesi erano visti come i lavandai, i cuochi di ristoranti etnici. E che erano ghettizzati, sia fisicamente (in quartieri loro) che culturalmente (i cinesi stessi non cercavano l’incontro fra culture)
Bruce Lee, che durante l’adolescenza aveva seguito un grande maestro di Kung Fu,Yip Man, in Cina, e aveva già vinto molti combattimenti, cerca fortuna in America, con la speranza di continuare nella pratica del JuJitsu, che nel frattempo aveva integrato con lo studio del Karate e del Judo.
Con una laurea di filosofia in tasca,dunque, Bruce bazzica le palestre americane di arti marziali .
Muscolosissimo, ma costituzionalmente esile e di statura medio bassa, Bruce non pareva un avversario temibile; in palestra però si rivela essere praticamente invincibile, sia contro i colossi americani che avevano imparato mediocremente le arti marziali, ma esce anche imbattuto da lotte con i propri connazionali, spesso esercitati, a differenza di lui, su una sola arte marziale, che imparavano a rispettare in tutte le sue formalità rituali.
Bruce non era un ribelle, non era un antitradizionalista, personalmente, però, nelle arti marziali era così dotato, che imparava molto e molto velocemente, scremando quelle che riteneva formalità troppo lunghe e non abbastanza efficaci, dalle tecniche apprese nella molteplicità delle arti e mischiandole assieme in modo individualmente superomistico, reinventando per le tecniche fisiche,fondazioni diverse da quelle attinte all’iter mistico di derivazione buddista, tao e zen.
La filosofia di Bruce Lee era una specie di magia fisica, intesa in senso mistico alla Giordano Bruno, per intendersi: considerare come la concentrazione attinga alle potenze più semplici e più potenti della natura, infinito con infiniti centri, che contempla in ogni microevento una connessione ricca di infinite sfaccettature, in contatto con ogni altra sfaccettatura dell’universo.
Bruce considerava le arti marziali come fondate in una possibilità antropologica universale, quindi esprimibili comunicazionalmente.
Iil film vi porta nel piu’ bel periodo della sua vita, quando ottiene un successo come maestro di Jeet Kune Do(di cui è praicamente l’inventore e che riassume in se principi e tecniche di tutte le arti cinesi del combattimento) , coronata da una vita familiare amorosa ed economicamente più che dignitosa, visto che i suoi discepoli aumentano di giorno in giorno, tanto da indurlo ad aprire molte scuole.
Ma, come gli disse il suo maestro cinese dell’adolescenza, “quando credi di aver raggiunto una meta ecco che il nero samurai ritorna a minacciarti, e al tramonto dovrai combattere”.
Il nero samurai rappresenta le nostre paure, le nostre nascoste infermità. Quelle che si ereditano, quelle che ci hanno spaventato da piccoli, quelle che non si sono ancora affrontate e di cui temiamo la forza distruttiva per il nostro essere.
In quel momento della sua vita il samurai nero è rappresentato dalla lobby dei maestri di arti marziali cinesi, che trasmettono la sapienza delle antiche discipline solo a persone di stirpe cinese. I quali gli intimano di chiudere le palestre e smettere di insegnare a bianchi e afroamericani.
Bruce ribatte che considera la cultura cinese qualcosa di superiore che vale la pena di insegnare agli altri. Poiché i maestri sono irremovibili, egli decide di portarsi via il diritto di insegnare a modo suo, con un combattimento.
Che avviene. Coi maestri come arbitri indiscussi e contro un cinese cattivissimo, che combatte con molte tecniche come fa lui.
Bruce vince, l’avversario si dichiara sconfitto, però poi, ad un cenno dei maestri-arbitri, lo colpisce con un colpo alla schiena che, praticamente, gli rompe tutte le ossa e gli danneggia la schiena. Bruce resta immobilizzato per due anni, in presenza di una diagnosi infausta, che lo condannava alla sedia a rotelle.
Tuttavia, supportato anche dalla novità della nascita della seconda figlia, Bruce, aiutato dalla moglie si dedica ad una autocura disciplinata, fondata proprio sull’amore con cui, durante la convalescenza, detta alla moglie i principali segreti della sua arte, e che diventerà un suo libro.
La convalescenza è titanica, la comunicazone pedagogica di questo periodo è affidata alla moglie, anche per la difficoltà di usare le braccia. Alla fine però, Bruce recupera ogni abilità motoria e ricomincia a combattere. Questa volta viene ingaggiato dalla televisione.
Recita la parte di un cinese maestro di arti marziali, nel far west. Però la pacchia dura poco. La produzione termina la serie televisiva. Nel Frattempo Bruce torna in Cina perché è morto suo padre. Lì incontra il suo antico maestro che gli ricorda come Bruce abbia ereditato dal padre un drago (il drago rappresenta proprio la negatività ereditata) contro cui, pur nella sua bravura, non ha imparato a difendersi.
Lo mette al corrente del rischio di lasciarlo in eredità al figlio.
Bruce viene contattato da un produttore cinese per una serie di film sulle arti marziali. Si trasferisce in estremo oriente con tutta la famiglia e lì sembra continuare la felicità.
Però, durante le riprese su un set in Thailandia,viene aggredito dal fratello di un ex avversario a cui aveva fatto tanto male (quello che lo aveva invalidato per conto della lobby di maestri cinesi e dopo la guarigione aveva nuovamente combattuto , rendendolo invalido) e nel combattimento lo uccide.
Da quel momento gli equilibri si rompono. La moglie vuole tornare in America perché si è rotta dell’estremo oriente. Lui non vorrebbe,teme il razzismo, la civiltà occidentale non gli piace, ma poi torna per seguire la moglie che minaccia di lasciarlo e lo attende uno smisurato successo a Hollywood, ma con la moglie non andrà più d’accordo. Nel frattempo viene inghiottito dallo stile di vita da vip tipicamente occidentale,il suo fisico si ammala e muore nel 1973 a 33 anni.
Il film era molto bello toccava molti aspetti della vita del grande maestro cinese: il razzismo, il rapporto tra la tradizione e il suo modo (condizionato, ma dipendente) di trattare con la moglie, cui tenta di imporre il suo maschilismo, ma poi, sulla scelta più grossa, cede.
Io penso che lui sia stato con le arti marziali l’equivalente che Nietszche è stato in filosofia. Ha coltivato la tradizione, ne ha assimilato tutti i linguaggi e gli orizzonti, poi li ha personalizzati, nella convinzione che non fosse la “tradizione” a fornire la forma dei significati, ma che fosse l’individuo a imprimervi i suoi, trascendendo il passato, le sue liturgie, le sue superstizioni, pensando che la “forma” potesse scaturire anche solo da ciò’ che noi chiamiamo “bello”, che è presente in ogni microscopico evento della vita e che ,taoisticamente, si identifica con cio’ che apparentemnte è il suo contrario.
L’unica forma universale è la non forma.Qui troviamo l’essere, nella dimensione che oltrepassa le apparenze e che non puo’ essere affidato ad alcuna parola, ma che mantiene in se , nella sua dimensione immensa,anche il non essere. L’uno è anche il due. Il sì e il no. Il tao e la sua negazione.
Bruce però, al contrario di Nietzsche, è uno sconfitto, perché ,nella ricerca di cristallizzare la perfezione interiore in una“perfetta forma” ravvisabile nella pura plasticità della tecnica, rappresentabile nel mondo esterno, va contro se stesso e contraddicendosi, rinuncia all’essenziale dimensione comunicativa che la sua arte, proprio costituzionalmente, esigeva (il combattimento, nella arti marziali, non è uccidere l’avversario, non è combattere sulla scorta di sentimenti forti, non è la cinematografica plastica di mosse spettacolari).
Invece Nietzsche non ha mai smesso di comunicarne, ha sempre risolto le sue contraddizioni scrivendo, parlandone.Parlando della filosofia e di se stesso. Ed è proprio in questa parola affermata, perché scritta, che Friedrich Nietzsche riesce a neutralizzare cio’ che dice quando si nega. Ma questa auto affermazione nell’auto negazione, incorporata negli “scritti col sangue” prodotti dal filosofo, ne costituiscono la rigorosa, fin nei minimi particolari, coerenza. La fanno emergere come una forma sconosciuta da una pietra scolpita per rappresentare qualcos’altro.
Una coerenza che si traduce in ricchezza filosofica che possiamo leggere e patire con lui, come i suoi scritti gridano di fare, mentre denigrano e infangano( dicendo parimenti la verità), il sentimento della compassione.
6 commenti:
Ciao, solo alcune precisazioni per dovere di cronaca, per evitare che ai puristi di arti marziali vengano i "brividi". ;-)
"Bruce Lee, che durante l’adolescenza aveva seguito un grande maestro di JuJitsu..."
Kung Fu stile Wing Chun (il Maestro era Yip Man), il Jujitsu è tutt'altra cosa.
"il film vi porta nel piu’ bel periodo della sua vita, quando ottiene un successo come maestro di kung Fu (di cui è praicamente l’inventore e che riassume in se principi e tecniche di tutte le arti cinesi del combattimento) "
Bruce Lee non ha inventato il Kung Fu (di cui possiamo trovare i primi "segni " risalendo a circa 4000 anni fa).
Bruce ha inventato, per così dire, il Jeet Kune Do: un sistema di combattimento difficilmente "etichettabile" (per suo stesso volere).
Per il resto, molto originale la tua analisi finale. ;-)
Vabbe' ho scritto minkiate.
Mò correggo. Grazie ad Eklektikos per l'immenso proliferare di informazioni.
Cmq la storia del Jujitsu era menzionata nel film (che era un fiction e in quanto tale magari diceva minkiate, lo so) ;-)
"Io penso che lui sia stato con le arti marziali l’equivalente che Nietszche è stato in filosofia."
LOL, anche Nietsche lo conosci attraverso un film?
l'ho visto anche io... molto bello...
Nietsche non lo conosco da autodidatta... il mito del superuomo, ma soprattutto la frase:
senza la musica la vita sarebbe un errore!CONDIVIDO;)
La sacra arte del kung fu permette di superare i limiti fisici e psicologici portando gli uomini a far cose assurde. Uno dei più famosi maestri orientali, Tu Jin-Sheng, ha dato prova delle sue doti artistiche trascinando un camion per qualche metro con il suo pene.
Non è la prima esibizione di questo tipo. Lo scorso anno tre allievi di Tu Jin-Sheng hanno stabilito un record a Taipei, trascinando un camion con cento persone sopra grazie a funi legate ai genitali. L'anno prima un allivo settantenne del maestro Tu, Huang Tian-Yu, ha fatto notizia solevando 150 chili, sempre con la stessa tecnica.
La tecnica del maestro Tu Jin-Sheng, Turi per gli amici, è un metodo basato su antiche tecniche cinesi di ispirazione taoista, usate per allenare le parti inferiori del corpo, anche per ragioni salute. In particolare queste tecniche rinforzano i reni, lo "yang" e la salute in generale.
Il maestro Turi sostiene che questa disciplina sia stata mantenuta segreta per due motivi principali. Per la natura conservatrice dei cinesi, ed anche perché "questo kung-fu si concentra sugli organi riproduttivi, la base stessa della vita umana, in modo da dare un immenso potere".
Non oso immaginare quale sia questo immenso potere ... ma a tirare un camion col pisello mi viene in mente cosa possa diventare immenso! Ora possiamo proprio dirlo quest'arte è proprio un kung fu del caaaa....
Non concordo con l'anonimo qui sopra.
Direi che dagli esempi da lui stesso riportati si capisca che il KF è un'arte con le palle.
Anche il film su Bruce Lee è pieno di palle.
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